1_Prendere le distanze

 

Se il tuo nemico ha fame dagli pane da mangiare,

se il tuo nemico ha sete dagli acqua da bere (Proverbi 25, 21).

 

 

Se c’è un modo per disinnescare la violenza è in queste parole: vinci con il bene il male (Rom. 12, 21). La spada di San Giorgio a difesa della Chiesa è quel che dice la Regola Carmelitana al n.19: «la spada dello spirito, che è la Parola di Dio, abiti in abbondanza nella vostra bocca e nei vostri cuori». Il male si vince con il bene. Fino alla concretezza, che fa dire alla Legge del Sinai: quando incontrerai il bue del tuo nemico o il suo asino dispersi, glieli dovrai ricondurre. Quando vedrai l’asino del tuo nemico accasciarsi sotto il carico, non abbandonarlo a sé stesso: mettiti con lui ad aiutarlo (Esodo 23, 4). Vinci l’inimicizia uscendo dalla sua logica, dalla sua spirale, vincila seminando amicizia, annullando il concetto stesso di nemico.

È la strategia che sottende la parabola della zizzania e del buon grano.

Dice il Signore: c’è un campo che è la terra, che è l’uomo, un santuario fatto di ombra e di luce, seminato di buon grano eppure assediato da erbacce; è questo cuor, questa storia, dove intrecciano le loro radici, talvolta in modo inestricabile, il bene e il male.

Vuoi che andiamo a strappare la zizzania? chiedono i braccianti al padrone. Possiamo vincere facilmente il male. La risposta è perentoria: No. Rischiate di strappare via anche il buon grano. E allora nessuno vincerebbe, ma saremmo tutti sconfitti. L’uomo violento che è in noi dice: strappa subito da te, ma soprattutto intorno a te, ciò che è cattivo, immaturo, puerile, estremo.

Il padrone del mondo, e del cuore, risponde: No, abbi pazienza, non agire con violenza. Rischi di creare un deserto e di chiamarlo pace, ma è solo una moltiplicazione di sconfitte. Perché il nostro spirito è capace di grandi cose solo se ha grandi passioni positive, non se ha grandi reazioni; se ha grandi desideri, non grandi paure; se ha grande virtù, non se è senza difetti.

La parabola racconta due sguardi: quello dei servi, che si fissa sulle erbacce, e quello del Signore che si fissa sul buon grano.

E ci chiama a conquistare lo sguardo positivo del Creatore.

Conquistare lo sguardo esatto di Dio verso gli altri vuol dire seminare occhi nuovi sulla terra: guardare mio marito, mio figlio, mia moglie e mio fratello, l’immigrato, la badante, l’islamico di Nassirya o il campesino del Perù, cercando il buon grano, cercando il positivo in ognuno. E del bene godo e faccio godere.

E capisco che solo il positivo di una persona mi dice la verità su quella persona. Solo il bene rivela l’uomo. Il male esiste, ma non è verità, è parassita, viene dopo, è nemico, non è rivelatore della verità dell’uomo. Il male esiste nelle religioni, nei popoli, ma non è la loro verità.

Per questo il cristiano porta secondo Origene la bella definizione di: amico del genere umano. Lo è se conquista lo sguardo di Dio, se vede il positivo, la spiga immancabile, la spiga certa, la spiga sicura nel campo grande che è il mondo.

E anche l’ultimo giudizio avrà come argomento non il lato oscuro della mia esistenza, ma il buon grano giunto sulla tavola d’altri come pane. Quel giorno il Signore dirà: ho avuto fame, freddo, paura; avevo deserti dentro di me e tu mi hai dato pane e amicizia, tu hai risvegliato vita, tu hai asciugato lacrime (cf Mt 25). Il bene riscatta il male della vita.

Perché agli occhi di Dio, il bene conta più del male, la spiga di domani vale più delle erbacce di oggi. Il bene pesa più del male e una spiga di buon grano conta più di tutta la zizzania della terra. Il male si vince con il bene. Perché il bene è più forte.

Lo scrittore sud americano Vargas Llosa scrive col suo linguaggio immaginifico: nessun impero della terra merita che per esso sia distrutta anche solo la bambola di una bambina. Il bene vale più del male. Alla zizzania si risponde moltiplicando le spighe.

La vita non avanza per colpi di volontà, per appelli al dovere, per strappi. Ma per una passione. E la passione nasce dall’aver scoperto una bellezza, in noi e attorno a noi: la bellezza del bene, verità dell’uomo.

 

IN PRINCIPIO

Anche la parabola della zizzania pone la grave domanda: da dove viene il male? Il nemico ha fatto questo, risponde il signore del campo. Ma quale nemico? Per riflettere risaliamo all’in principio.

La prima morte sulla terra è quella di un fratello ucciso da un altro fratello. La prima preghiera sulla terra è quella del sangue di Abele: “la voce del sangue di tuo fratello grida a me dalla terra”.

La preghiera che muove Dio a intervenire per la prima volta sulla terra, è il sangue, il sangue che grida. Non è alle chiese che Dio risponde innazitutto, non alle liturgie, è al sangue che grida.

Ed ecco come risponde: Il Signore impose a Caino un segno, perché non lo colpisse chiunque l’avesse incontrato (Genesi 4,15-16). Dio interviene per la prima volta sulla terra e lo fa e lo farà sempre e solo in difesa dell’uomo. Dio è perfino dalla parte di Caino e protegge anche Caino, quando è braccato, PER PROTEGGERCI TUTTI. Chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte. Che cosa vuole dire? Se non interrompete questa spirale della violenza non vi salvate più.

Il Signore non estirpa dalla terra la zizzania, cioè l’omicida, perché non c’è mai una violenza che possa porre fine ad una violenza. Chi uccide Caino non fa che moltiplicare la violenza e la morte. Sarà ucciso sette volte, che vuol dire: se non rompete questa spirale della violenza, non farete altro che moltiplicare le morti. Non c’è mai atto di odio che non moltiplichi altro odio all’infinito.

E infatti la Bibbia riporta subito dopo, nei versetti appena successivi, il canto selvaggio dei discendenti di Caino,di Lamech:

«ho ucciso un uomo per la mia scalfittura e un ragazzo per un mio livido.

Sette volte sarà vendicato Caino

Ma Lamech settantasette volte» (Genesi 4, 23-24).

Canto selvaggio che testimonia il moltiplicarsi della violenza nella stirpe di Caino. Che ha scelto una alternativa opposta a quella voluta da Dio.

Ma Caino è il testimone di un male più originario ancora.

Il primo libro della Scrittura, nei suoi primi capitoli, fa emergere la forza distruttiva e misteriosa del male in ogni vita, attraverso il simbolo del serpente. Eppure la discendenza della donna, l’umanità, riuscirà un giorno a schiacciare quello che sembrava invincibile, segno che il male non è vincente, che la sua forza devastante si arresta.

Ma attraverso una lotta: tu, dice il Signore al serpente, le insidierai il calcagno. Il male può ferire l’umanità, ma può solo ferirla. Solo dietro di te è il male e insidia il tuo piede, da dietro. Il male ti colpirà alle spalle, è un passato che ritorna, ma non è davanti a te, non è il tuo futuro. L’uomo proteso in avanti, ha un anticipo, un vantaggio sul male.

Questo ritardo del male, per grazia, sarà un ritardo eterno. Essa ti schiaccerà la testa: Il male sarà sconfitto, la vittoria è dell’uomo, il bene è più forte. Perché l’uomo ha in sé l’immagine di Dio e non quella del serpente, ha davanti un Eden da raggiungere e non un baratro avvelenato.

La benedizione e non la maledizione accompagna Adamo ed Eva fuori dall’Eden. La benedizione di Dio è, nel suo ‘in principio’, il coraggio di lottare contro il male.

Una immagine di donna sta ad indicare questo vantaggio sul male da parte dell’umanità e riassume in sé il percorso di lotta e di vittoria dell’uomo. Il segno grande visto dall’autore dell’ultimo libro della Bibbia, l’Apocalisse, è quello di una ‘donna’ (Maria, Chiesa, Umanità): apparve un segno grande nel cielo, una donna vestita di sole, gridava per le doglie del parto, e un grande drago rosso cercava di afferrare il frutto del ventre. Una donna vestita di sole, luminosa, generante vita, e in lotta contro il male; una creatura in cui tutti ci riconosciamo: vestita di luce, gravida di vita e mai arresa. Questo è l’umanità.

Maria è l’anticipo di ciò che avverrà per tutti: è stato possibile estrarre dalla creazione un essere che è solo bontà, uno sguardo che non perde l’innocenza della sua luce, una mano incapace di colpire, una parola incapace di ferire, una innocenza minacciata sempre eppure sempre vittoriosa, una carezza senza ambiguità, un cuore senza divisioni, un servizio che non teme di essere strumentalizzato, una verginità senza rimpianti, una maternità senza possesso, un frutto non avvelenato dal serpente. Che vince il male con il bene.

In lei la creazione è vergine di nuovo.

Riparte la più umana delle avventure: liberare anche noi tutta la bellezza sepolta dentro di noi, il seme di luce deposto in noi dalla mano viva del creatore.

Sono queste le cose che Gesù, spiegando la parabola della zizzania, chiama le «cose nascoste dalla fondazione del mondo» (Mt. 13, 35). E rimangono tali, nascoste, ma presenti.

 

IL DESIDERIO MIMETICO

Il male, nella storia, ha preso tutte le forme della violenza. La domanda che ci poniamo ora è: che cosa alimenta la violenza? La violenza nasce dal desiderio competitivo, più precisamente dal desiderio mimetico, dalla tensione a possedere la stessa cosa che l’altro possiede (Andrè Girard). E percorre tutta la Bibbia:

Eva cede al serpente perché questi le propone di essere come Dio, di possedere ciò che Dio ha negato a lei e ad Adamo ed ha tenuto solo per sé; : mangiate questa mela, avrete ciò che Dio ha.

Caino oscuramente contende ad Abele la benevolenza di Dio, la vuole anch’egli per sé.

Giacobbe ed Esaù, i fratelli gemelli padri dei due popoli gemelli ebreo ed arabo, lottano già dall’utero della loro madre, si contendono la primogenitura con l’inganno, continuano per il possesso della stessa terra.

Le guerre, questo parossismo della violenza, nascono dal desiderio competitivo di avere lo stesso oggetto, conteso tra i due: e può essere una terra, una donna (ricordiamo Elena nell’Iliade), una città ( Gerusalemmme per i crociati) o semplicemente la secchia rapita dai modenesi (Tassoni), il piatto di lenticchie, i pozzi del petrolio, l’accesso al mare, Trento e Trieste. Può essere una poltrona su cui altri si sono seduti prima di me, per due bambini un giocattolo o l’affetto dei genitori. Oppure, la cosa più tragica, può essere la mia idea di Dio contro la tua.

Ciò che conta non è l’oggetto, ma il mimetismo speculare: avere ciò che l’altro ha. Fino a risalire al peccato originale, fino ad entrare due volte nei dieci comandamenti. Desiderio, è la parola posta due volte a sigillo conclusivo del decalogo: non desiderare la donna d’altri, non desiderare la roba d’altri. Non è il desiderio che è condannato, ma il desiderio competitivo, che ha di mira ciò che appartiene ad altri.

E proprio a questa logica si oppone Cristo, che è vittima della violenza perché smaschera la violenza:

egli oppone al verbo generativo di violenza, il verbo prendere, un altro verbo, il verbo dare; al meccanismo perverso del desiderio oppone il circuito del dono, al desiderio competitivo la logica alternativa , capovolgente, del dono: non c’è amore più grande che dare la vita per coloro che ami; c’è più gioia nel dare che nel ricevere.

Lui che oppone alla logica primordiale di aggressione e rappresaglia la frantumazione che viene dal porgere l’altra guancia, del dare anche la camicia a chi ti chiede la giacca, del camminare tutta la notte insieme a chi ti ha chiesto di accompagnarlo un’ora soltanto.

E la violenza non ha potuto sopportarlo e ha chiamato a raccolta i suoi figli e l’ha ucciso proprio perché era l’unico che non doveva nulla alla violenza e stava per smascherarla e farla cadere dal suo trono di morte. E doveva essere l’ultimo ucciso proprio perché nessuno fosse più ucciso. Doveva essere l’ultima vittima della violenza, proprio perché non ci fossero più vittime. E invece, venuto come se non fosse venuto…

Oggi tutto è competitivo, competizione. Le industrie sono competitive o non sono industrie moderne; i commerci hanno da essere competitivi, i partiti sono competitivi, le scuole sono competitive, le religioni sono competitive. La terra è una nave su cui tutti siamo imbarcati insieme e che tutti cerchiamo di spogliare, Ma non possiamo permetterci che affondi, perché non ci sarà un’altra arca di Noè.

Il desiderio mimetico, speculare, competitivo come si supera? Le alternative che si pongono di fronte all’umanità sono o quella di uno stato di guerra diffuso ed endemico per il possesso dei beni primari, oppure quella che gli antropologi chiamano la logica dello scambio dei doni. Ecco la risposta sta nel passaggio dal regno della competizione al regno del dono (Paul Ricoeur).

Uccidere non può essere uno dei mezzi per vivere insieme.

Solo il sistema del dono, della condivisione, può scongiurare il sistema della guerra.

Quale può essere il bene da donare e da scambiare per costruire la pace? I beni vitali prima di tutto (se il tuo nemico ha fame…), il pane che è sempre il nostro pane e mai il mio pane. Il pane per me è un fatto materiale, il pane per mio fratello è un fatto spirituale. Non credo alla carità se non passa per il portafoglio. Bene vitale è la giustizia per le vittime…

Ma oltre a questi temi importanti, vorrei sottolineare alcune piste meno battute, indispensabili per costruire ponti e non muri.

La cultura è la chiave. La cultura è il ponte, è il bene vincente. La cultura infatti è un luogo teologico, apre nell’uomo lo spazio di Dio. La cultura che è arte, letteratura, musica, poesia, conoscenza apre poi lo spazio della profondità dell’uomo. Segui le orme della cultura e alla fine delle orme trovi i picchetti della tenda dell’uomo.

Si deve partire dall’uomo stesso posto di fronte alle situazioni limite, che sono la bellezza, la morte, l’amore. La cultura è la risposta, sempre diversa, a queste situazioni ultime.

La bellezza che, secondo Dionigi l’Aeropagita, crea ogni comunione, che convince, cioè lega insieme le persone. O che semplicemente le strappa dalle psicosi collettive di male o di nihilismo. Condividere, conoscere, dibattere, lasciarsi fecondare dalla bellezza dell’arte dei diversi popoli nel loro viaggio nel tempo. I poeti di ogni tempo sono i segreti legislatori del mondo, scoprono rapporti nuovi tra le cose, sono la profezia della profondità, una offerta di solarità. Non amare i grandi uomini da dovunque vengano è un suicidio dell’umanità (Tagore). Solo loro che ci aiutano a re-incantare la vita, che ha perso l’incanto. Dalla bellezza e dal senso vengono il fremito, l’energia, il fascino per cantare di nuovo la vita.

La morte. Ascoltare e confrontarsi sulle domande che si pongono tutti davanti a questo spreco di morte, penso al maremoto; davanti a questo scialo di morte, penso alla guerra, o al martire fondamentalista che semina morte con la propria morte. Lo scambio si questi temi assoluti è una chiave per la pace. Penso ai gruppi di israeliani e palestinesi, famiglie in cui un membro è stato vittima che della violenza e che si ritrovano insieme, parlano insieme, per fare insieme un cammino di comprensione e forse di perdono.

L’amore. Vertice della rivelazione di cosa sia l’uomo, delle sue potenzialità, amore crocevia dello stupore. Spesso l’unica esperienza mistica, allo stato selvaggio ma autentica, che sia data di sperimentare alla maggior parte degli uomini. Condividere le domande sull’amore, compresa l’espressione sessuale.

Queste esperienze limite rivelano l’uomo all’uomo, aprono nell’uomo lo spazio di Dio attraverso la meraviglia e l’angoscia. Sono profondità che rivelano le profondità dell’uomo, abisso che chiama l’abisso, come canta il salmo.

La mistica è la chiave. Martin Buber ha un monito durissimo, dice: il nome di Dio è il nome più insanguinato di tutta la terra. Non invocatemi più… cosa avete fatto del mio nome? Quando si pronuncia quel nome ogni creatura sulla terra dovrebbe trattenere il fiato. Cosa avete fatto del mio nome? Sono le religioni che hano fatto, che fanno la guerra. Badate bene le religioni, non le fedi! Si sono fatte sempre guerre di religione, non di fede.

Quando è fede e quando è religione? La religione è quando tu fai Dio su tua misura. La fede quando tu fai te su misura di Dio. E se tu fai te stesso su misura di Dio, senza mai raggiungerlo, e tu lo cerchi continua mente e anch’io faccio lo stesso e lo cerco continuamente… Allora aiutiamoci a cercarlo insieme. È questa la fede. E non si fanno mai guerre di fede, ma si fanno solo guerre di religione.

Se vai alle radici della fede trovi il mistico, Colui che contempla e raggiunge il roveto di fuoco. La mistica è la chiave dell’incontro tra le religioni. È il bene vincente. Al punto che alcuni mistici sono intercambiabili: io leggo una preghiera di un mistico e tu non sai se quelle parole sono di un cristiano o islamico o induista o ebreo. Suonano come parole vere e buone sulla bocca di tutti.

Le religioni possono dialogare con fecondità proprio a partire dai mistici, dai grandi oranti, sono loro il nucleo primigenio di ogni fede, oltre la foresta dei riti e dei simboli che ci diversificano. I contenuti della mistica evocano sempre la pace, la comunione, l’incontro con Dio e con il fratello. Non lo fanno invece le altre discipline del credere, non l’etica, o la dogmatica, o il diritto, non le istituzioni o l’organizzazione. Non la verità eretta a sistema.

 

Sappiamo bene che le più grandi stragi nella storia sono state perpetrate in nome di valori positivi. Ecatombi intere per creare un uomo nuovo, per offrire libertà o benessere (penso al terrore della rivoluzione francese, alle rivoluzioni nel nome del marxismo). In una guerra difficilmente i soldati tra loro non si odiano, si uccidono in nome di valori: difesa della patria, delle istituzioni, conquista della libertà, diffusione della democrazia, lealtà, fedeltà alla bandiera…Non per odio ma per valori! La mia verità contro la tua verità e nasce la guerra. Dice Simon Weil: mettere la verità prima della persona è l’essenza della bestemmia. Si deve partire dall’uomo stesso, dall’umano contro il disumano. Anche se una vita vale poco, niente vale quanto una vita. Quando davanti a Gesù viene portata una donna colta in adulterio e che in nome della legge, della verità e della giustizia deve essere uccisa, Lui antepone la paura della donna, paura di morire di una donna che pure valeva poco, che aveva tradito, antepone la sua fame di vita alla fame di sangue della verità. Che cosa conta di più? La verità o la persona? Scegliere l’umano contro il disumano è il presupposto per ogni etica personale e sociale.

L’identità. Molti temono per il nostro mondo una perdita di identità sotto la pressione delle nuove migrazioni. L’identità di ognuno, però, si costruisce su due basi: l’affermazione di sé e il riconoscimento reciproco. Su di uno scambio di doni.

Il saggista bulgaro Tzvetan Todorov, scrive che, alla sua nascita, il piccolo d’uomo non si distingue dagli animali superiori: cerca di essere confortato, scaldato, nutrito, ma così fanno tutti i neonati dei mammiferi. Ma tra la settima e l’ottava settimana di vita il lattante fa un gesto che non ha eguali nel mondo animale: non si accontenta più, come prima e come i cuccioli di altre specie, di guardare la madre, ma cerca di catturare il suo sguardo, di guardare proprio i suoi occhi, guarda per esser guardato.

Vuole contemplare lo sguardo che lo contempla.

Questo è l’avvenimento grazie al quale il bambino entra in un mondo inequivocabilmente umano. L’esistenza specificamente umana, insiste Todorov, comincia col riconoscimento di noi stessi da parte di un essere umano. Senza riconoscimento, senza intersoggettività, senza società, non vi è umanità.

Tutti abbiamo sotto gli occhi gli esiti nefasti di una cultura che ha enfatizzato l’io. L’io che finisce per cancellare il volto dell’altro: esiste solo la mia immagine. Dice Pascal: le moi est haissable. L’io si può odiare.

Levinas invita alla deposizione dell’io: deporre l’io accentratore, così come si depone il tiranno, il sovrano assoluto. E la parola nuova diventi il volto dell’altro, un volto da capire, da rispettare, da accarezzare, in cui contemplare lo sguardo che ti contempla. Un riconoscimento reciproco, come di piccolo d’uomo alla ottava settimana. Poi nascerà, nascerà come una benedizione, la pace.

La verità tuttavia è un problema da non evadere, e può essere una delle chiavi. Ma come? Seguendo l’intuizione di Paolo: i cristiani sono coloro che fanno la verità nell’amore, veritatem facientes in caritate.

Gesù ha vinto. Come ha vinto? Eliminando il concetto stesso di inimicizia. Io posso avere dei nemici, Gesù aveva dei nemici, Ma Lui non era nemico di nessuno. Faceva fronte alla capacità dagli altri di fare il male con la sua capacità di amare. Deve scomparire il concetto di nemico, perché una civiltà fondata sul concetto di nemico non è una civiltà, ma una barbarie.

Il discorso della montagna ha come motivo ispiratore proprio la risposta al male: a chi ti chiede dai, a chi ti colpisce porgi…Risposta asimmetrica.

 

La risposta simmetrica occhio per occhio, dente per dente è esplicitamente dichiarata decaduta da Gesù. Ed era già un passo avanti rispetto al canto selvaggio di Lamech: ho ucciso un uomo per un graffio, un ragazzo per un livido…

Risposta asimmetrica crea un disequilibrio: a chi ti chiede uno dà due, che fa uscire dal campo del baratto del possesso per entrare in quello del dono, della gratuità.

Le relazioni evangeliche si fondano su di un principio di disequilibrio: tu sei più importante di me. Infatti: date a coloro che non hanno da restituire, invitate coloro che non possono fare altrettanto…perché il povero vale di più.

A chi ti colpisce su di una guancia porgi l’altra guancia. Per dire con questo gesto un messaggio che va ben oltre la reciprocità, oltre il rispetto delle opinioni altrui, oltre la tolleranza: vedi, sono disarmato, non aggredisco, non fuggo. Mi avvicino, mi porto a contatto tuo, sono a portata della tua mano, sono a distanza di cuore. Porgi l’altra guancia che significa: non stare in guardia, abbassa le difese, non fare paura. L’altro capirà che è assurdo esserti nemico.

Nell’equilibrio del dare e dell’avere Gesù istituisce una sproporzione, dai di più di ciò che ti è chiesto, ama per primo, ama in perdita, ama senza aspettare il contraccambio. La speranza di pace è il nome che diamo a questa sproporzione. Vincere il male con il bene.

Che giunge al vertice con l’espressione, con quella affermazione eccessiva di Gesù: amate i vostri nemici. L’amore vince il nemico non già uccidendolo, ma uccidendo l’inimicizia che c’è in lui.

La Vergine canta nel Magnificat: ha rovesciato i potenti dai troni. Rovesciato, ma non già umiliato, o bastonato, o ucciso.

Ha disperso i progetti dei superbi, ma non ha schiacciato o perseguitato le loro persone. Ha rimandato i ricchi a mani vuote, li ha liberati da ciò che aveva loro tolto la libertà.

Gesù riesce a pensare a una vittoria che sappia fare a meno della sconfitta del nemico, che non implichi la morte del nemico. Riesce a pensare ad una vittoria sull’inimicizia, non sul nemico, ad un nemico amato. È la scommessa assoluta.

Sarà vittima della violenza. Ma il messaggio della croce è questo: alcune cause valgono il mio sangue, ma nessuna causa vale il sangue di mio fratello. Muore perdonando gli uccisori, perché nessuna causa vale il mio odio.

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