1_La Preghiera

Non c’è tempo o vi è scarsità d’amore?

Siamo presi da una complessità di doveri e di attività che ci stringono come in una rete. Ma bisogna stare attenti a non diventare le ruote di un ingranaggio. Ho trovato questa espressione di Lutero che mi ha molto colpito: "Oggi ho molto da fare, dunque pregherò almeno quattro ore”. In noi, spesso, prevale la logica contraria.

Se ho molto da fare, devo pregare di più, perché ci dev’essere una proporzione tra quello che faccio e quello che prego. Giovanni della Croce nel “tempo libero” si divertiva a stare con l’Amato.

Ci lamentiamo della mancanza di tempo. Ma è scarsità d’amore. È difficile trovare due innamorati che non hanno il tempo per incontrarsi. E da chi ci ama aspettiamo soprattutto il dono di un po’ di tempo. Se la preghiera è un fatto d’amore, la prima cosa da fare è “buttar via”, “sprecare” un po’ della propria vita nella preghiera. E poi ci accorgiamo che, se sappiamo buttare del tempo nella preghiera, alla fine saremo ricchissimi di tempo, perché quello che ci rimane è completamente diverso: fa un salto qualitativo. E la ragione è questa: dopo aver pregato, se è vero che senza di Lui non possiamo far nulla (Gv 15, 5), con Lui riusciamo a far tutto.

 

 

La preghiera è un alibi?

Alcuni obiettano: “La preghiera è un alibi all’azione; favorisce l’irresponsabilità. È meglio agire che pregare”. Certo la preghiera non è un rifugio per sottrarsi alle proprie responsabilità. Lo ha detto Gesù: “Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli” (Mt 7, 21). La preghiera non è evasione dalla vita, ma invasione nella nostra vita di Dio. A ciò ci si predispone. Altrimenti non viene. Il tempo della preghiera è quello in cui affermiamo di voler stare col Signore della vita, lasciandoci trasformare a sua immagine; impariamo chi Egli è da quello che noi diventiamo. La sua luce illumina la nostra povera mente, così corta di vedute; la fragilità della mia volontà è sostenuta dalla sua forza; la mia vita è invasa dalla sua Grazia.

La preghiera è l’azione più importante per far andare avanti il mondo. “È per la preghiera dei cristiani che il mondo sta in piedi” (Aristide l’Apologeta, II secolo). “L’uomo che prega ha le mani sul timone della storia” (S. Giovanni Crisostomo, III secolo).

 

 

Il Signore va trattato da Signore.

La nostra vita ha assoluto bisogno di un ritmo vivo che alterni momenti di preghiera e di solitudine a momenti di impegno e di azione.

Ora et labora” (prega e lavora) diceva s. Benedetto. Se si spezza questo equilibrio, diventiamo schiavi delle cose, degli avvenimenti e di noi stessi: la nostra vita diventa un caos inutile e dannoso. “Chi non raccoglie con me disperde” (Mt 12, 30).

Chi non sa interrompere la sua azione per buttarsi in uno spazio di contemplazione, ad un certo punto non si possiede più. Shakespeare diceva: “L’uomo che si agita fa scoppiare di risate gli angeli”. La nostra azione diventa un agitarsi inconcludente, una accozzaglia di frammenti eterogenei che non servono a formare qualcosa di unitario. Anche le azioni più belle della nostra vita, le perle del nostro ingegno, vanno sicuramente perdute se non sono tenute insieme da questo filo d’oro che è la preghiera.

Dio, bisogna lasciare che stia al centro della vita, in trono nella parte più intima del nostro cuore e lasciare che di lì domini tutto. E non prendiamo la scusa che non siamo degni, che il nostro cuore è una stalla. Fin dal suo nascere Gesù ha scelto una stalla come suo quartier generale e luogo di appuntamento tra il cielo e la terra (cfr Lc 2, 1-20). Quando il Signore è accolto in una persona, tutto si trasforma, tutto diventa meraviglioso; è il paradiso già sulla terra.

Charles de Foucauld si esprimeva così: “Esalarsi davanti a Dio in pura perdita di sé”. La preghiera non è accattonaggio: è atteggiamento di figlio, di innamorato. Si sta davanti a lui perché lo amiamo, perché non possiamo fare a meno di lui, perché ci è più necessario dell’aria che respiriamo e del pane che mangiamo. Gesù si è definito luce, pane, vita... perché è realmente tale: Lui è indispensabile, necessario. “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia e tutte le altre cose vi saranno date in aggiunta” (Mt 6, 33).

La preghiera non è anzitutto un mezzo per ricaricarsi, per stare meglio, per essere più felici: questi motivi e altri ancora nascono dal desiderio di affermare sé stessi e i propri interessi per come li possiamo intendere noi e cioè, in senso non radicale. Il nostro vero interesse, infatti, radicalmente, è disposto da un altro. Per quanto dia fastidio accettarlo la vita, e dunque anche la vita di preghiera, è una partita a tennis dove non sono mai di servizio. Batte sempre un altro. La palla della realtà mi arriva con il suo spin e la sua direzione, che è quella che è. Se siamo figli di Dio e non schiavi o parassiti, questo dice allora che la preghiera è soprattutto un bisogno filiale, un bisogno dell’amore di figli.

 

Due racconti evangelici (Gv 11, 1 - 44 e Lc 10, 38 - 42).

“Gesù voleva molto bene a Marta, a sua sorella e a Lazzaro”. Per diventare amici di Cristo e per innamorarsi di lui bisogna sentire che ci vuole molto bene.

Il Maestro è qui e ti chiama”. Quando Gesù è o sembra lontano succedono i guai; quando lo sentiamo presente rifiorisce la vita e la speranza. Il Cristo che duemila anni fa era a Betania, oggi è qui e ripete anche a noi: “Io sono la risurrezione e la vita”.

Per Maria “sedutasi ai piedi di Gesù” non esiste più niente: c’è lui solo. Lo guarda con occhi estasiati e pieni d’amore. “Maria si è scelta la parte migliore che non le sarà tolta”.

Queste pagine del vangelo ci sembrano riassunte nella bella definizione di Teresa d’Avila: “La preghiera per me, altro non è che un intimo rapporto d’amicizia e un frequente intrattenersi da solo a solo con Colui da cui sappiamo di essere amati”.

 

Un intimo rapporto personale.

Il cristianesimo è Qualcuno. È Qualcuno che per me conta; Qualcuno senza del quale non potrei vivere: “Per me infatti il vivere è Cristo” (Fil 1, 21).

Il mio rapporto con lui deve essere esauriente, afferrare tutta la mia vita.

 

L’amore ha sete di presenza.

Dio si è fatto meravigliosamente vicino. È venuto ad abitare in mezzo a noi (cfr. Gv 1, 14). L’amore ha bisogno di presenza, desidera l’incontro. Dio è soprattutto presenza: Qualcuno che è qui, adesso, per me. È qui e mi cerca.  Bisogna avvertire questa presenza. Una presenza non avvertita è come una “non presenza”. È vero che abbiamo tante cose da fare e da pensare. Ma un giorno il Signore disse a santa Teresa: “Figlia mia, pensa a me, che a te ci penso io”. Se noi pensiamo a Lui e ai suoi interessi, Lui pensa a noi e ai nostri interessi: è un affare d’oro!

La preghiera non può nascere se non avvertiamo questa presenza: non si dialoga con un assente. La preghiera comincia nel preciso istante in cui Dio cessa di essere un lui e diventa un Tu. I personaggi dei salmi danno del tu a Dio, lo interloquiscono con fiducia.

Si dice che santa Caterina, quando pregava il “Gloria al Padre”, lo recitasse così: “Gloria al Padre, e a Te, o Figlio, e allo Spirito santo” perché in quel momento, attraverso un’esperienza particolare, la presenza di Cristo si faceva sensibile. Per non essere da meno, noi potremmo pregare così: “Gloria a Te, o Padre, e a Te, o Figlio, e a Te, Spirito santo” perché sappiamo che la Trinità abita stabilmente in noi come in un tempio (cf Gv 14, 23; 1Cor 3, 16-17; 6, 19-20).

 

Io lo guardo e lui mi guarda.

È meraviglioso sentirsi addosso lo sguardo di un innamorato. Il salmo 139 (138) e l’episodio dell’uomo ricco (Mc 10, 17-22) ci aiutano ad attualizzare e a pregare questa realtà.

Quando prego, io lo guardo e lui mi guarda. Io che sono senza importanza per tutti, non sono senza importanza per lui.

Per intanto lo possiamo contemplare solo nei segni della sua presenza, nel riflesso delle sue creature. “Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è” (1Gv 3, 2).

Il desiderio di vederlo ha fatto nascere nella Chiesa primitiva la prima formula liturgica tipicamente cristiana: “Maranà tha, Vieni, Signore Gesù” (cf 1 Cor 16, 22; Ap 22, 20).

È la stessa struggente nostalgia del paradiso che faceva dire a Teresa d’Avila: “Muoio, perché non muoio”.

 

Camminare alla presenza di Dio.

Dice la Bibbia: "Enoch camminò con Dio" (Gen 5, 21-23); "Noè era uomo giusto e integro tra i suoi contemporanei e camminava con Dio" (Gen 6, 9); "Quando Abram ebbe novantanove anni il Signore gli apparve e gli disse: Io sono Dio onnipotente: cammina davanti a me e sii integro" (Gen 17, 1). Tutti camminano con lui come si cammina con un compagno di viaggio. In Cristo Gesù, buon samaritano, Dio è in viaggio e passa accanto all’umanità di tutti i tempi e di tutti i luoghi e se ne prende cura (cf Lc 10, 30-37). La fede è la capacità di avvertire questa presenza amorosa e benefica.

 

Il mio silenzio ti parla.

Il primo mezzo per comunicare è il silenzio. Sbaglia chi crede che il silenzio sia un diaframma tra persone che porta all’isolamento. I momenti più belli dei rapporti anche umani sono i momenti in cui si tace.

Il valore del silenzio non elimina né oscura quello della parola. È proprio il silenzio che dà valore alla parola. Una parola è vera quando nasce dal silenzio interiore di chi parla e trova nel silenzio interiore dell’interlocutore uno spazio per entrare.

 

Il dialogo orante.

Il bisogno di comunicare con il Tu divino, di cui nella fede avvertiamo la presenza, si esprime dunque attraverso la parola, rispettando però le norme del dialogo. Molti pensano che pregare significhi semplicemente parlare con Dio. E non si accorgono di cadere così nel monologo. C’è dialogo tra due persone quando parlano entrambi. Se poi tra i due uno emerge sull’altro per dignità, spetta a lui la prima battuta del dialogo. Qui l’interlocutore è il Signore: dovrò lasciare che anzitutto parli lui. Pregare è soprattutto ascoltare. La mia non potrà essere che una risposta.

Ora il mezzo privilegiato con cui Dio mi parla è la Parola ispirata, la Bibbia. Dio parla certamente anche attraverso le creature, gli avvenimenti, le voci intime del mio cuore, ma senza la luce della Parola ispirata non saprei decifrarne il linguaggio. Nella storia della salvezza è la Parola profetica che illumina gli avvenimenti indicando il senso che assumono nel piano di Dio. Sarà dunque la Bibbia il grande mezzo per mettermi in ascolto: la Bibbia però come parola viva, colta sulla bocca dell’interlocutore.

Diciamo di più: la Bibbia mi fornisce anche la risposta. Questo spiega perché la Chiesa privilegia i salmi nella sua preghiera. "Sono preghiere ispirate che arrivano dirette al cuore di Dio" (s. Gregorio Magno). E Pascal diceva che "solo Dio parla bene a Dio".

In ogni caso la mia risposta dopo l’ascolto consisterà nel reagire a ciò che egli mi ha detto, nel far rimbalzare verso di lui la Parola ricevuta dopo che essa si è incorporata al mio mondo interiore ed è diventata ad un tempo la sua e la mia parola.

Esiste una scuola di preghiera, esiste una maestra esperta in materia. La liturgia è la Chiesa che prega. È lì che dobbiamo imparare a pregare ed è da lì che dobbiamo prendere ispirazione e metodo anche per la nostra preghiera personale.

 

Pregare è soprattutto lodare.

Quando Dio è al centro del nostro interesse, la lode prende il sopravvento sulle altre forme di preghiera. Non guardo me, guardo lui. Se guardassi solo me, rischierei di restare paralizzato dal panorama squallido delle mie miserie.

Certo l’esame di coscienza ci vuole, ma va fatto in compagnia del Signore. Un bambino che fa l’inventario delle sue ferite in braccio a una madre premurosa che minimizza l’accaduto, lo consola e lo restaura: ecco un’immagine dell’esame di coscienza.

Quindi non stiamo a perdere eccessivo tempo a guardare i nostri cerotti. Mettiamo sempre Dio in primo piano e guardiamo soprattutto le sue meraviglie.

Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti adoriamo, ti glorifichiamo, ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa”. Non solo per i benefici che ci hai dato, o Signore, ma soprattutto perché Tu esisti, perché Tu sei Dio, perché Tu sei la bontà, la bellezza infinita.

“Bisogna anzitutto lodarlo. Lodare è esprimere la propria ammirazione e nello stesso tempo il proprio amore, perché l’amore è inseparabilmente unito ad una ammirazione senza limiti” (C. De Foucauld).

Certo l’atteggiamento di lode non è l’unico atteggiamento della preghiera: ci sono tutti gli altri. Ma è il vertice della preghiera.

Sarà la lode che riempirà la nostra eternità felice, alla fine, senza fine.

 

Ora et labora - Prega e lavora.

Uno storico tedesco (!) ha detto che si potrebbe caratterizzare le grandi svolte della civiltà con il motto benedettino “ora et labora”.

Per gli antichi valeva così com’è: la preghiera al primo posto, il lavoro al secondo posto, e una stretta unione tra preghiera e lavoro.

All’epoca del Rinascimento i due termini sono stati capovolti nella prassi, ed è come se si dicesse: “Labora et ora”.

Finalmente con la svolta materialistica del nostro tempo uno dei due termini è soppresso. È come se si dicesse: “Labora et labora”.

Infatti siamo in una repubblica fondata sul lavoro! Questa mentalità è diffusa e si cerca anche di giustificarla a suon di Bibbia.

Il cavallo di battaglia più conosciuto e più usato è il testo di Matteo che presenta i criteri del giudizio finale: Ero affamato, assetato, forestiero, nudo, malato, carcerato... (cf Mt 25, 31-46).

Per dare maggiore forza al discorso si sintetizza l’immagine di Gesù, come “l’uomo per gli altri”.

È verissimo che Gesù è stato l’uomo per gli altri, ma egli era anzitutto “il Figlio unigenito che è nel seno del Padre” (Gv 1, 18), che si occupa delle cose del Padre (Lc 2, 49), che onora il Padre (Gv 8, 49), il cui cibo era fare la volontà del Padre e compiere la sua opera (Gv 4, 34). Per farla breve, insegnandoci a pregare, Gesù ci ha messo subito davanti agli occhi il Padre, il suo nome, il suo regno, la sua volontà.

Poi il pane. Un pane che è dono del Padre prima, e più ancora, che frutto del lavoro dell’uomo.

Si dice: “Chi lavora, prega”. Sì, il lavoro è preghiera per chi sa pregare. Il lavoro diventa preghiera quando prima di lavorare si trova il tempo per pregare; in questo modo il lavoro diventa la continuazione naturale della preghiera, il fare quello che si è detto e capito nella preghiera. Diversamente il lavoro resta lavoro e stop.

Non siamo capaci di scoprire il volto di Cristo nel fratello se prima Cristo non è diventato per noi Qualcuno nella preghiera. Padre Peyriguère, un discepolo di Carlo de Foucauld, così esprime l’incontro con Cristo nei fratelli: “Forse, non faccio mai così bene orazione, quanto nelle lunghe e stressanti giornate passate in mezzo a questa brava gente che mi assedia, che mi succhia letteralmente. Vedere Gesù in ogni essere umano, diceva il padre de Foucauld. Come è reale il Cristo, come è terribilmente reale, quando si presenta ‘sotto le specie’ di uno dei nostri fratelli infelici! Come è bello venire in aiuto di Gesù, quando ce lo domanda uno di quelli per cui egli è morto! Allora, passare la giornata a curare la carne stessa di Gesù, è diventare contemplativi”.

Ma questo poteva scriverlo uno che aveva cominciato la sua esperienza spirituale, passando molte ore in adorazione davanti al Santissimo Sacramento, e che continuava a farlo anche mentre faceva l’infermiere.

Chi non prega, e dice di incontrare Cristo nei fratelli, illude sé stesso e gli altri.

 

Agire per amore.

Siamo spesso in balia delle cose da fare. Siamo schiavi del lavoro. Parafrasando il detto di Gesù: “Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato” (Mc 2, 27) potremmo dire: “Il lavoro è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il lavoro”.

Dobbiamo poter dire: Agisco perché amo. E questo non deve valere solo per i grandi gesti, che nella vita capitano raramente, ma per quei piccoli gesti quotidiani, per i gesti al dettaglio.

Fra’ Lorenzo della Risurrezione, umile cuoco carmelitano, diceva: “Non è necessario avere grandi cose da fare. Io rivolto le frittate nella padella per amore di Dio. Quando sono pronte, se non ho altro da fare, mi prostro a terra e adoro il mio Dio che mi ha dato la grazia di prepararle. Dopo di che mi alzo più contento di un re. Quando non posso far altro, mi basta aver sollevato una pagliuzza da terra per amor di Dio”.

È questo “per amor di Dio” che rende felici nella vita: solo questo.

Trova Dio nell’intimo di te, poi agirai.

 

Gesù: preghiera e azione in perfetta simbiosi.

Ogni azione deve sgorgare dall’azione numero uno: dall’intimo del cuore che si unisce a Dio. Di lì tutte le azioni devono sgorgare per essere vere ed efficaci.

Gesù, l’esemplare divino, a questo riguardo, come sempre, è inarrivabile.

Gesù riceve in ogni istante la vita dal Padre e vive continuamente rivolto verso di lui. È un rapporto costante che non conosce interruzione: “Io non sono mai solo. Il Padre è sempre con me” (Gv 16, 32); “Io e il Padre siamo una cosa sola” (Gv 10, 32).

Questo si traduce anche a livello operativo: “Io faccio sempre le cose che gli sono gradite” (Gv 8, 29).

Lo vediamo passare spontaneamente dalla preghiera all’azione e dall’azione alla preghiera. Davanti alla tomba di Lazzaro, prima alza gli occhi al cielo e dice: “Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato. Io sapevo che sempre mi dai ascolto...” poi si rivolge verso la tomba e grida a gran voce: “Lazzaro, vieni fuori! Il morto uscì”   (Gv 11, 41-44).

Passa dalle giornate in cui non aveva più neanche il tempo per mangiare (Mc 6, 31) alle nottate di preghiera sulla montagna (Lc 6, 12).

Per lui preghiera e azione sono in perfetta simbiosi. Questo è il modello divino.

Riusciremo a pregare e a vivere così? “Dio dà la preghiera a colui che prega” (Evagrio). Si impara a pregare pregando.

 

 

Sacramenti e preghiera
Abramo, Mosè e i profeti parlavano a Dio come un amico parla al suo amico. Leggiamo nella Bibbia: “Il Signore parlava con Mosè a faccia a faccia, come un uomo parla con un altro” (Es 33,11).
Ma veniamo subito al centro dell’argomento: Gesù. Cristo in quanto Dio è la grande parola del Padre rivolta agli uomini, il Verbo; in quanto uomo è la grande risposta degli uomini a Dio, il grande “sì”, la grande preghiera in tutta la sua vita, sulla croce, sull’altare. Il sacramento dell’alleanza, l’eucaristia, è la grande presenza in mezzo a noi del Figlio di Dio incarnato, morto e risorto per noi, e sempre in atteggiamento di supplica per noi (Rm 8,34; Eb 7,25). Pertanto la nostra grande preghiera personale e comunitaria è la messa, nella quale Cristo ci convoca e ci attende per pregare in mezzo a noi e attraverso di noi.
Per mezzo dei sacramenti noi riceviamo la grazia. La grazia non è qualcosa, ma Qualcuno: è lo Spirito santo. La presenza, la luce e l’amore dello Spirito santo si risolvono innanzitutto e soprattutto in preghiera, in adorazione, in un grido filiale che si alza verso Dio: “Abbà, Padre!”.

 

 

Caricature della preghiera
A pensarci bene, tutte le deviazioni della preghiera possono essere ricondotte a una sola: vogliamo che Dio faccia quel che vogliamo noi. No! Lo scopo della preghiera non è di ottenere che Dio faccia la nostra volontà, ma che noi facciamo la sua. Gesù ci ha insegnato: “Quando pregate, dite: ‘Padre nostro... sia fatta la tua volontà’” (Mt 6,9-10). Al di fuori di questo atteggiamento ogni preghiera è illusione. E proprio perché Dio ci ama. La sua volontà nei nostri confronti si identifica con il suo amore per noi. Chiedere e ottenere qualcosa di diverso dalla sua volontà sarebbe chiedere e ottenere da Dio di non amarci: un’autentica follia e soprattutto una cosa assolutamente impossibile perché “Dio è amore” (1Gv 4,8).

 

 

footprints of Jesus

Carmelitani Scalzi,
Via A. Canova 4.
20145 Milano
MI
379 174 4166 duruelo63@gmail.com
Powered by Webnode