23_«Quando griderà verso di me, io l’ascolterò, perché io sono pietoso» (Es 22, 26b).

Se «vi sarà in mezzo a te qualche tuo fratello che sia bisognoso in una delle tue città nella terra che il Signore, tuo Dio, ti dà, non indurirai il tuo cuore e non chiuderai la mano davanti al tuo fratello bisognoso» (Dt 15, 7). Non siamo solo soci in società ma fratelli, viviamo in comunità. Sappiamo che Dio ha un sogno e cioè che ogni uomo senza alcuna esclusione possa partecipare della Sua stessa, condizione divina attraverso la pratica di un amore simile a quello che ha nei confronti dell’uomo (cf Mt 25, 31-40; Lc 10, 29-37) e che quelle parole esprimono. Il suo realizzarsi è il realizzarsi del sogno stesso di Dio, prova della Resurrezione di Gesù: «Nessuno infatti tra loro era bisognoso» (Atti 4, 34).

Il Risorto tuttavia non si ferma a Gerusalemme, alla cui comunità leggiamo riferite queste parole, ma si mostra fino in fondo ad Antiochia. I fedeli di Gerusalemme e quelli di Antiochia credono nello stesso Signore, ma sono riconosciuti come cristiani solo quelli di Antiochia, gli unici che, oltre a non pensare solo a sé stessi, si preoccupano veramente degli altri[1].  (). Per questo «si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1, 14) e compì il Sacrificio vespertino, sospeso sulla croce. Ci offre questa possibilità: «Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13, 34). Questo ci farà risorgere come Lui. Perciò «Dopo aver purificato le vostre anime con l'obbedienza alla verità – che è la possibilità che Lui stesso ci ha rivelato – per amarvi sinceramente come fratelli, amatevi intensamente, di vero cuore, gli uni gli altri, (1Pt 1, 22).

Si oppone alla presenza del Risorto e alla realizzazione del sogno di Dio lo spirito del mondo. Al punto che «Pio XI prevedeva l’affermarsi di una dittatura economica globale che chiamò «imperialismo internazionale del denaro» (Lett. enc. Quadragesimo anno, 15 maggio 1931, 109). Sto parlando dell’anno 1931! … e fu Paolo VI che denunciò ... la «nuova forma abusiva di dominio economico sul piano sociale, culturale e anche politico» (Lett. ap. Octogesima adveniens, 14 maggio 1971, 44)» (Francesco, Discorsi, 5 novembre 2016).

Dio chiama ciascuno di noi a dare «secondo quanto ha deciso nel suo cuore, non con tristezza né per forza, perché Dio ama chi dona con gioia» (2Cor 9, 7). Ripetiamolo con il Cristo: «Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio» (Gv 10, 17-18). Se si desidera essere amati da Dio, allora la decisione è nostra. Nessun uomo ha il diritto di decidere per noi quanto al nostro dare perché neppure Dio lo fa. Obbedire a questa decisione, che è nostra, è obbedire a Lui. Questo fa sì che continui a portarci il Suo amore, a sostegno del nostro dare. Lui che «pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio» (Fil 2, 6). La condizione divina infatti non è per dominare ma per servire, non innalza sugli altri ma «rialza chiunque è caduto» (Sal 145, 14).

È giunto il tempo dunque che si pongano le condizioni perché ciascuno di noi «decida nel suo cuore cosa dare», disponendosi a ricevere il soccorso di Dio nell’Orazione, secondo gli insegnamenti di Teresa di Gesù, riconoscendo come la ragione più alta della dignità dell’uomo consista «nella sua vocazione alla comunione con Dio. Fin dal suo nascere l’uomo è invitato al dialogo con Dio: non esiste, infatti, se non perché, creato per amore da Dio, da lui sempre per amore è conservato, né vive pienamente secondo verità se non lo riconosce liberamente e non si affida al suo Creatore» (Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 19).



[1] cfr. A. Maggi, La comunione dei beni a Gerusalemme e ad Antiochia, 2005.

 

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