Non digiunate più come fate oggi - Is 58, 3-12
«Non digiunate più come fate oggi, così da fare udire in alto il vostro chiasso.
È forse come questo il digiuno che bramo,
il giorno in cui l'uomo si mortifica?
Piegare come un giunco il proprio capo,
usare sacco e cenere per letto,
forse questo vorresti chiamare digiuno
e giorno gradito al Signore?
Non è piuttosto questo il digiuno che voglio:
sciogliere le catene inique,
togliere i legami del giogo,
rimandare liberi gli oppressi
e spezzare ogni giogo?
Non consiste forse nel dividere
il pane con l'affamato,
nell'introdurre in casa i miseri, senza tetto,
nel vestire chi è nudo,
senza distogliere gli occhi da quelli della tua gente?
Allora la tua luce sorgerà come l'aurora,
la tua ferita si rimarginerà presto.
Davanti a te camminerà la tua giustizia,
la gloria del Signore ti seguirà.
Allora lo invocherai e il Signore ti risponderà;
implorerai aiuto ed egli dirà: «Eccomi!».
Se toglierai di mezzo a te l'oppressione,
il puntare il dito e il parlare empio,
se offrirai il pane all'affamato,
se sazierai chi è digiuno,
allora brillerà fra le tenebre la tua luce,
la tua oscurità sarà come il meriggio.
Ti guiderà sempre il Signore,
ti sazierà in terreni aridi,
rinvigorirà le tue ossa;
sarai come un giardino irrigato
e come una sorgente
le cui acque non inaridiscono.
La tua gente riedificherà le antiche rovine,
ricostruirai le fondamenta di epoche lontane.
Ti chiameranno riparatore di brecce,
restauratore di case in rovina per abitarvi» (Is 58, 3-12).
È questo il senso della Quaresima: preparare l’anima e la vita per sperimentare l’amore di Cristo nella Sua passione, morte e resurrezione. Importano, dunque, tre cose:
la vera umiltà
Consiste «nell’essere disposti ad accettare con gioia quanto il Signore vuole da noi» (C 17, 6): «Imparate da me, che sono mite e umile di cuore» (Matteo 11, 29). «Poniamo gli occhi su Cristo, nostro bene, e lì impareremo la vera umiltà».
«C’è un segno, un segnale, l’unico: accettare le umiliazioni. L’umiltà senza umiliazioni non è umiltà. Umile è quell’uomo, quella donna, che è capace di sopportare le umiliazioni come le ha sopportate Gesù, l’umiliato, il grande umiliato» (Francesco, Omelie Sanctae Marthae, 5 dicembre 2017).
«Il vero umile deve desiderare di essere disprezzato, perseguitato e condannato senza motivo, anche in cose gravi. Se vuole imitare nostro Signore, in che cosa lo può meglio fare se non in questo? Non occorrono forze fisiche, né di essere aiutati da chicchessia, fuorché da Dio» (C 15, 2).
«la vera umiltà non inquieta mai, non agita, non disturba, ma inonda l'anima di pace, di soavità e di riposo. La vista della nostra miseria ci mostra che meritiamo l'inferno, ci riempie l'anima di afflizione, ci toglie quasi il coraggio (domandare misericordia. Ma se c’è vera umiltà, questa pena è temperata da tanta pace e dolcezza, da desiderare di non andarne mai privi. Non solo non inquieta e non stringe l'anima, ma la dilata e la rende più abile a servire Dio, mentre l'umiltà del demonio disturba, scompiglia, mette tutto sossopra ed è molto penosa. Se il maligno ci vuol far credere che siamo umili, penso che sia per poi indurci, potendolo, a diffidare di Dio. Se siete in questo stato, fate il possibile per allontanare il pensiero dalla vostra miseria, fissandolo sulla misericordia di Dio» (C 39, 2-3).
« la vera umiltà … e la propria abnegazione van sempre d'accordo. Sono due sorelle che non bisogna mai separare; parenti da cui non vi dirò mai di staccarvi, ma anzi d'abbracciare ed amare, cercandone continuamente la compagnia.
Virtù sovrane, regine del creato, imperatrici del mondo, che ci liberate da tutti i lacci e da tutte le insidie del demonio, foste così care al nostro Maestro Gesù che non stette senza di voi neppure un istante! Chi vi possiede può camminare con sicurezza ed affrontare tutto l'inferno riunito, il mondo e le sue seduzioni. Non abbia paura di nessuno, perché il regno dei cieli è suo. Che deve infatti temere chi non solo non si preoccupa di perdere tutto, ma neppure stima per tale detta perdita? La sua paura è solo di offendere Dio: perciò lo supplica di mantenerlo sempre in queste due virtù e di non mai permettere che per sua colpa le perda.
È vero che queste virtù hanno la proprietà di nascondersi a quegli stesso che le possiede, per cui egli non le vede né mai s'induce a credere di possederle, neppure se glielo dicono. E intanto, siccome egli le stima molto e fa di tutto per acquistarle, va continuamente progredendo. Per accertarsene basta trattare con lui, perché quelle virtù si fan vedere all'esterno, anche se l'interessato non vuole» (C 10, 3-4).
Santa Teresa di Gesù si è chiesta una volta «perché Dio ami tanto l'umiltà», e le venne in mente, «d’improvviso, senza alcuna mia riflessione che ciò dev'essere perché Egli è somma Verità, e che l'umiltà è verità. È verità indiscutibile che da parte nostra non abbiamo nulla di buono, ma solo miseria e niente. Chi più lo intende, più si fa accetto alla suprema Verità, perché in essa cammina» (6M 10, 7).
il distacco dalle creature
Anzitutto ed essenzialmente da quella creatura che siamo noi: «dove regnano punti di onore e attacco ai beni terreni … credetemi, … non si arriverà mai al pieno distacco» (C 12, 5). Davvero «- Non vi è al mondo tossico che più distrugga la perfezione, quanto la preoccupazione del proprio onore. Direte che si tratta di sentimenti naturali, e che non bisogna farne caso. Guardate invece di non andar troppo alla leggera. L'attacco a questi punti di onore cresce come la schiuma: non vi è mai nulla di lieve quando il pericolo è così grave come allora che si va alla ricerca dei torti che si crede di aver ricevuti». (C 12, 7-8).
Perciò, «non abbandonatevi al sonno! Sareste come colui che si corica tranquillamente perché, avendo paura dei ladri, ha sbarrato le porte di casa, senza pensare che i ladri sono chiusi dentro. Ora, come sapete, finché siamo dentro noi, non vi è ladro peggiore. Se non ci sorvegliamo accuratamente, se ognuna di noi non considera la propria abnegazione come l'affare più importante, una moltitudine di ostacoli ci impedirà quella libertà di spirito che sola ci permette di volare al Creatore, non più carichi di terra e di piombo. Rimedio a tanto male è aver sempre innanzi che tutto è vanità e che presto tutto ha da finire. Con ciò le nostre affezioni, togliendosi a queste cose così fragili, si porteranno alle eterne. Benché questo mezzo non sembri molto efficace, tuttavia è per l'anima di grandissimo vantaggio, purché si badi attentamente di non attaccarsi ad alcuna cosa per piccola che sia: appena ci si accorge di un attacco, allontanarne subito il pensiero per elevarlo a Dio, ed Egli ci aiuterà» (C 10, 1-2).
l'amore che dobbiamo portarci vicendevolmente
Prepararsi in Quaresima a vivere il mistero della passione, morte e resurrezione di Gesù significa infine vivere la carità, amare concretamente il prossimo. Santa Teresa scrive ne Il Castello Interiore che “la vera perfezione consiste nell'amore di Dio e del prossimo” (1M 2, 17).
«L'amore sincero che ci dobbiamo portare scambievolmente … è … servire Dio» (C. 4, 5. ). «Quando l'amore tende al servizio di Dio, lo si vede chiaramente perché la volontà, nonché lasciarsi dominare dalla passione, cerca ogni mezzo per vincere ogni passione» (C 4, 6). Certo: che la volontà si senta portata più verso uno che verso l’altro è cosa naturale. «Ma resistiamo fortemente e guardiamoci dal lasciarcene sopraffare. Amiamo la virtù e i beni interiori, procurando attentamente di non far conto delle qualità esteriori. Non permettiamo mai … che il nostro cuore si faccia schiavo di qualcuno» (c 4, 7-8).
Ma come dev'essere questo amore reciproco (C 4, 11)? È di quelle persone le quali «non si curano di essere amate» (C 6, 5) … «È naturale bramare di essere ricambiati anche in un amore onesto. Ma appena avuto il ricambio, vediamo da noi stessi non essere altro che paglia, aria, atomo impercettibile che il vento si porta via. Che ci rimane, infatti, dopo che ci abbiano molto amati? Ben a ragione quelle persone poco o nulla si curano di essere o di non essere amate: se cercano l'affetto di chi può giovare alla loro anima, è solo perché riconoscono che, data la nostra miseria, senza aiuto si stancherebbero presto.
Vi sembrerà che queste anime non amino e non sappiano amare che Dio. Ma esse amano anche il prossimo, e di un amore più grande, più vero, più utile e più ardente, perché sincero. Sono più portate a dare che a ricevere, e fanno così anche con Dio. Queste, e non già le basse affezioni della terra, meritano il nome di amore, che è stato usurpato da quelle. Ma voi direte: Se non amano ciò che vedono, a che cosa si affezionano? Rispondo che anch'esse amano ciò che vedono e si affezionano a ciò che sentono, ma non vedono se non cose stabili. Nel loro amore, invece di arrestarsi al corpo, portano gli occhi sull'anima, e cercano se vi è in essa qualche cosa degna del loro affetto. Se non ne trovano, ma vi scoprono un qualche principio di virtù o una qualche buona disposizione che permetta loro di supporre che scavando in quella miniera abbiano a scoprirvi dell'oro, non contando per nulla le pene e le difficoltà che v'incontrano, fanno del loro meglio per il bene di quell'anima, perché volendo continuare ad amarla, sanno benissimo che non lo possono fare se ella non abbia in sé beni celesti e grande amore di Dio. Senza di ciò, ripeto, non la possono amare, e tanto meno con affetto duraturo, neppure se quella persona le obblighi a forza di sacrifici, muoia di amore per loro e riunisca in sé tutte le grazie possibili. Conoscendo per esperienza quel che valgono i beni del mondo, in questo non giocheranno mai un dado falso, perché vedono che non sono fatte per vivere insieme né per continuare ad amarsi: finirà tutto con la morte, per andare chi da una parte e chi dall'altra, qualora quella persona non abbia osservata la legge di Dio e dimorato nella sua carità (C 6, 7-8).