Per meandri complicati e tortuosi (Vita 4, 3)
L'ENTRATA AL MONASTERO DELL'INCARNAZIONE:
UN DIFFICILE SALTO DI QUALITÀ
Appena vestii l’abito religioso, subito il Signore mi fece capire fino a che punto Egli favorisca quelli che si fanno violenza per servirlo. Rammento, e credo proprio di affermare il vero, che quando lasciai la casa di mio padre provai un dolore così lancinante, da farmi pensare che non se ne provi uno maggiore allorché si sta per morire: sembrava che le ossa mi si slogassero ad una ad una (...). Procedevo esercitando su me stessa uno sforzo così intenso che, se il Signore non mi avesse aiutata, ogni mia considerazione sarebbe stata insufficiente per continuare la rotta. In quel frangente Egli mi infuse una tale energia per vincere me stessa, da permettermi concretizzare il mio ideale.
Nessuno sospettava l’accanita lotta che io pure avevo dovuto sostenere con me stessa, poiché tutti pensavano fossi dotata di una fortissima volontà. Sin dai primi istanti però, Dio mi ricolmò di gioia: una gioia immensa, che non è mai venuta meno fino ad oggi (…). Tutti gli esercizi della vita religiosa mi piacevano, anche se per la verità talvolta mi accadeva di dover spazzare nelle ore che solitamente dedicavo a farmi bella; anzi, ricordando di essermi finalmente liberata da quella schiavitù, provavo una gioia nuova, sconosciuta, che mi stupiva e stentavo a capire donde provenisse.
Rammentando questo fatto, posso dire che non v'è cosa, per quanto difficile, che io esiti ad affrontare quando mi si prospetta. So infatti per esperienza acquisita quel che succede, allorché mi sforzo fin dal principio a prendere la decisione di fare qualcosa (...). Sua Maestà me lo ripaga già in questa vita con un profluvio di favori che solo chi ha la fortuna di assaporarli può apprezzare. Ne ho fatto l'esperienza anche in casi molto gravi; per cui, se fossi persona autorizzata a dar consigli, suggerirei di non tralasciare mai e poi mai, per paura, di tradurre in atto una buona ispirazione che si presenta con insistenza.
Sarebbero pur dovute bastare, o mio sommo Bene e mio riposo, le grazie di cui mi avevi ricolmata fino a quel momento, pilotandomi con la tua magnanimità e misericordia per meandri complicati e tortuosi, sino a raggiungere un porto così sicuro (...). Mi sento persino imbarazzata a proseguire quando ricordo la cerimonia della mia professione, la decisa risolutezza e la gioia con cui la emisi, lo sposalizio che celebrai con te (...).
Mi sembra ora di aver avuto ragione a non volere una dignità così alta, visto che poi dovevo usarla tanto Dio mio, sembra davvero che io non facessi altro fuorché promettere di non mantenere nulla di quanto avevo promesso (...). La consapevolezza delle mie gravi infedeltà viene spesso contemperata dall’inebriante soddisfazione infusa nella mia anima dal fatto che si veda così brillare l’infinità della tua misericordia.
I1 cambiamento di vita e di alimentazione pregiudicò la mia salute; per cui, sebbene la mia contentezza fosse intensa, essa non bastò a controbattere gli attacchi (...). Trascorsi quindi il primo anno in pessime condizioni di salute (...). Mio padre si dava d’attorno con la massima premura per trovarvi un rimedio; ma, non essendo riusciti a procurarglielo i medici locali, mi fece trasportare in un posto dove correva voce si guarissero altre malattie, e quindi avrebbero curato anche la mia.
Durante il viaggio di andata, lo zio, che stava di casa lungo la strada, un diede un libro intitolato Terzo abbecedario, che si propone di insegnare l'orazione di raccoglimento (...). Provai molta soddisfazione nel trovarmi fra le mani quel libro e decisi di seguire col massimo impegno il metodo ivi abbozzato (...). Fino allora non avevo mai trovato un vero maestro, voglio dire un confessore che mi capisse, quantunque l'avessi cercato; e lo cercai senza trovarlo per altri vent'anni (...).
In quel primo periodo di assestamento Sua Maestà cominciò ad accordarmi tante grazie (...). L'orazione lasciava in me degli effetti così incisivi che, pur avendo io allora sì e no vent’anni, mi sembrava di avere il mondo sotto i piedi (...).
Mi sforzavo in tutti i modi possibili di tenere presente in me Gesù Cristo; era questo il mio metodo di orazione. Quando meditavo qualche brano della sua vita, me lo raffiguravo nel mio intimo. Tuttavia la maggior parte del tempo la spendevo a leggere buoni libri (...). Durante questo tempo non osavo nemmeno iniziare l'orazione senza un libro, poiché la mia anima aveva paura di mettersi a pregare senza averlo tra mano (...). Munita di tale rimedio invece, che rappresentava per me una compagnia o uno scudo destinato a parare i colpi inferti dall'orda dei pensieri importuni, mi sentivo rincuorata (...). Quando mi mancava un libro da leggere l'anima mia andava subito sottosopra e i pensieri si disperdevano in mille rivoli, ma con esso riuscivo gradatamente a raccoglierli e mi sentivo l'anima come blandita da una carezza. Tante volte mi bastava aprire il libro per non aver più bisogno di altro (Vita 4,1.2.3.5.7.9).
L'AFFETTUOSA LETTURA DI UNA STORIA FERITA
Arrivato il momento di iniziare la cura, che stavo attendendo (...), vennero mio padre, mia sorella e la affezionatissima amica monaca accompagnatrice e, coi più delicati riguardi, mi portarono sul posto (...).
Nel luogo scelto per curarmi risiedeva un ecclesiastico di condizione assai distinta, molto intelligente, in certa qual misura, anche colto. Presi a confessarmi da lui (...). Egli si affezionò profondamente a me (...). Il suo non era un affetto malsano, ma per il fatto di essere eccessivo, finiva per diventare certo non buono. Sapeva bene che io per nulla al mondo sarei giunta a commettere qualcosa di grave contro Dio, e la stessa identica disposizione mi assicurava di averla lui. Così le nostre conversazioni si infittivano. Imbevuta com'ero di Dio, provavo il massimo piacere nel discutere su argomenti che lo riguardavano. Ora, tanto fervore in una ragazza ancor così giovane, riempiva di confusione il mio interlocutore, il quale, spinto dalla forte simpatia che nutriva per me, incominciò a rivelarmi la sua disastrosa condizione morale. Non era davvero da minimizzare: basti pensare che ormai da quasi sette anni versava in una situazione spiritualmente assai pericolosa, in quanto si era innamorato e aveva allacciato una relazione con una donna del luogo, eppure continuava a dir messa ugualmente. La cosa era di pubblico dominio (…). A me faceva una gran compassione, perché gli volevo sinceramente bene (...).
Cercai di saperne di più, assumendo informazioni dal personale di casa sua. Venni così a conoscere che quella donna gli aveva gettato addosso il maleficio mediante un piccolo idolo di rame che gli aveva chiesto di portare al collo per amor suo e che nessuno era stato ancora in grado di levargli di dosso.
Io decisamente non credo affatto a queste storie di sortilegi e iettature, ma ci tengo a riportare quanto ho visto di persona (...). Quantunque io sia stata così miserabile, mai ho cercato di far del male, né anche potendolo avrei mai voluto forzare la volontà di qualcuno ad amarmi (...).
Non appena dunque fui al corrente dell'amara vicenda, cominciai a dimostrargli maggior affetto (...). Di solito gli parlavo di Dio. La cosa doveva giovargli; ma ritengo che il fattore determinante sia stato per lui quello di volere tanto bene a me. In effetti, per farmi piacere, si decise a consegnarmi il piccolo idolo, che io feci subito gettare in un torrente (...). Infine smise completamente di frequentare quella donna, e da quel momento non cessò più di ringraziare Dio per averlo illuminato.
TEMPESTE AFFETTIVE E PSICOSOMATICHE
In capo a due mesi, a forza di medicine mi trovavo ridotta quasi in fin di vita (...). Tra la spossatezza dovuta all'estrema carenza di energie e la febbre continua e l'indebolimento, ero così sfinita e disidratata che i miei nervi cominciarono a rattrappirsi, causandomi dolori talmente intollerabili da non permettermi di trovare riposo né giorno né notte. Il tutto rincarato poi da un profondo abbattimento.
Visto il bel guadagno ottenuto, papà mi ricondusse a casa, dove i medici tornarono a visitarmi. Tutti mi dichiararono spacciata (...).
Giunse la festa della Madonna d'agosto (...). quella notte ebbi una crisi tale, da restare completamente fuori dei sensi per quattro giorni o poco meno. Più di una volta dovettero ritenermi proprio morta (...), quando il Signore pensò bene di farmi riprendere conoscenza (...).
Affermo in tutta verità di sentirmi talmente sbigottita nel constatare come il Signore mi abbia quasi risuscitata, da stare addirittura tremando dentro di me (Vita 5,3-11).