11_Amico dei peccatori (Mc 2, 13-17)

Amico dei peccatori (Mc 2, 13-17)

Uscì di nuovo lungo il mare; tutta la folla veniva a lui ed egli insegnava loro. Passando, vide Levi, il figlio di Alfeo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e Io seguì. Mentre stava a tavola in cosa di lui, anche molti pubblicani e peccatori erano a tavola con Gesù e i suoi discepoli; erano molti infatti quelli che io seguivano. Allora gli scribi dei farisei, vedendolo mangiare con i peccatori e i pubblicani, dicevano ai suoi discepoli: «Perché mangia e beve insieme ai pubblicani e ai peccatori?». Udito questo, Gesù disse loro: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori».

 

Guida di lettura

Gesù lo chiamarono «amico di peccatori». Aveva infatti l’abitudine di mangiare con peccatori e persone indesiderabili, senza escludere nessuno dalla sua tavola. Quel gesto esprimeva scandalosamente il grande progetto del Padre: una comunità umana che non escluda nessuno dal perdono. Noi discepoli di Gesù siamo riconosciuti per la nostra capacità di condividere la mensa con tutti, senza rifiutare neppure i peccatori.

 

Accostamento ai testo evangelico

Il pubblicano Levi chiamato da Gesù. Chi erano i «pubblicani» o esattori d’imposte? Che fama avevano? Immaginiamo lo scandalo che provoca Gesù associando Levi al suo gruppo di seguaci? Gesù mangia con «peccatori». Chi erano coloro che venivano designati con questa qualifica? Che provi vedendo Gesù e i suoi discepoli che festeggiano in un banchetto mescolati a un gruppo numeroso di «peccatori»? Ci immaginiamo oggi una scena simile in una chiesa cristiana?

Critica dei maestri della Legge. A chi si rivolgono? Perché chiedono spiegazioni? Che cosa li infastidisce? Si preoccupano dei peccatori o di se stessi?

Risposta di Gesù. Leggiamo lentamente il proverbio che ricorda Gesù: come guarda i peccatori? Come intende la sua accoglienza dei peccatori? Senti tu qualche volta Gesù come medico? Quando? Leggiamo ora le parole di Gesù sulla sua missione: perché non viene a chiamare i giusti? Perché chiama i peccatori?

 

Commento

Condividere la tavola con peccatori

 

Gesù predica il suo messaggio sulla sponda del lago, nelle vicinanze di Cafarnao. Era uno dei suoi luoghi preferiti per annunciare la buona novella. La folla accorre da ogni parte. Il suo sguardo penetrante osserva tutto. Passando vede Levi, figlio di Alfeo, seduto al suo posto per riscuotere le imposte, e gli dice: «Seguimi». La gente è sorpresa e scandalizzata: come può quel profeta di Dio chiamare un esattore delle tasse a seguirlo per far parte del suo gruppo più intimo? Non dobbiamo confondere i «pubblicani» con gli esattori dei tributi dell’impero sulle terre e i prodotti dei campi: Roma affidava questo compito a famiglie potenti e ben scelte, che rispondevano con la loro fortuna dell’efficacia della riscossione. I «pubblicani» che appaiono nei racconti evangelici sono gli esattori che riscuotevano imposte di mercanzie o diritti di transito ai confini delle province, ai ponti o all’ingresso di città importanti. All’interno di questo collettivo ci sono i «capi di pubblicani», uomini ricchi e potenti, come Zaccheo, che controllano e sfruttano i punti dove si riscuotono le imposte di una determinata regione, e i «subalterni», che siedono nei posti di riscossione, come Levi.

Questi ultimi formavano un gruppo di persone che non avevano potuto trovare un mezzo migliore per vivere. Il loro lavoro, considerato come un’attività propria dì ladri e individui poco onorati, era così disprezzato socialmente che a volte si ricorreva agli schiavi per riscuotere le imposte. I pubblicani erano probabilmente il prototipo dei peccatori, privati della benedizione di Dio ed esclusi dal suo popolo santo. Si considerava la loro conversione come qualcosa di praticamente impossibile, perché non potevano restituire quello che avevano rubato a tante persone in transito. Senza dubbio, Levi era un uomo conosciuto a Cafarnao all’interno della compagine dei pubblicani, che, di certo, doveva essere ab bastanza numerosa. Non dobbiamo dimenticare che Cafarnao era una città di frontiera tra la Galilea di Antipa e il territorio governato dal fratello Filippo. Nelle sue vicinanze passava un’importante strada commerciale, chiamata Via Maris (via del mare), dove si riscuotevano le imposte delle ricche mercanzie provenienti dall’Estremo Oriente. A Gesù non importava la cattiva reputazione che poteva avere Levi tra i suoi vicini. Rompendo ancora una volta le discriminazioni sociali e religiose, lo chiama a seguirlo. La sua chiamata significa per Levi un cambiamento totale di vita. Non si dedicherà più al suo ufficio. Imparerà a vivere a partire da Gesù e collaborerà al suo progetto. Non importa il suo passato ai margini delle leggi religiose. Neppure la, sua condotta più o meno immorale. Comincia per lui una vita nuova. Con Gesù tutto è possibile. Pieno di gioia e di riconoscenza, probabilmente è lui stesso che organizza un banchetto a casa sua per celebrare la nuova vita. La scena che descrive l’evangelista è insolita. Le sette religiose di Cafarnao non possono ammettere uno scandalo simile. Gesù è seduto a tavola mentre sta presiedendo uno strano pranzo. Da una parte, si siedono a tavola i «discepoli» che lo seguono. Però si siedono anche «molti pubblicani e peccatori», invitati senza dubbio da Levi. Tutti prendono parte allo stesso banchetto. Intorno a Gesù stanno cadendo le barriere e i pregiudizi che gli uomini sollevano in nome di Dio.

I maestri della Legge, appartenenti alla classe dei farisei, non possono sopportare quello spettacolo: come si permette un uomo di Dio di accogliere affettuosamente «pubblicani» e «peccatori» fino al punto di sedersi a tavola con loro? Si rivolgono direttamente ai discepoli, però la loro ostilità è contro Gesù. Il loro tono è dispregiativo. Non pronunciano nemmeno il nome di Gesù. Si sentono in diritto di chiedere spiegazioni: «Perché mangia e beve insieme ai pubblicani e ai peccatori?». Perché non sta a debita distanza? Ciò che più scandalizza non è vedere Gesù in compagnia di peccatori e gente poco rispettabile, ma osservare che siede con loro a tavola. Questa abitudine è uno dei tratti più sorprendenti e originali di Gesù, forse ciò che più lo differenzia da tutti i suoi contemporanei e da tutti i profeti e maestri del passato. È difficile trovare qualcosa di simile in uno considerato da tutti come «un uomo di Dio». La questione è esplosiva. Sedersi a mensa con qualcuno è sempre una prova di rispetto, confidenza e amicizia. Non si mangia con chiunque. Condividere la stessa mensa vuoi dire che si appartiene allo stesso gruppo. Per questo le classi giudaiche che vogliono osservare la santità del popolo eletto escludono i peccatori. Perché Gesù non fa altrettanto? Forse appartiene al gruppo dei peccatori? Quando Gesù sente la critica dei letterati farisei, non lascia che rispondano i suoi discepoli. Interviene lui stesso, perché vuole che sia chiaro il significato profondo del suo modo di agire. In primo luogo ricorda loro un proverbio conosciuto probabilmente da tutti: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati». A Gesù sta a cuore il bisogno che possono avere di lui i peccatori per sentirsi accolti da Dio. Con poche parole svela la sua maniera di guardare ai «peccatori»: essi sono «infermi»; hanno bisogno di aiuto, di accoglienza. Allo stesso tempo, Gesù rivela il suo modo di accoglierli. Quei pranzi hanno per lui un carattere terapeutico. Offrendo loro la sua fiducia e amicizia, li libera dalla vergogna e dall’umiliazione, li riscatta dall’esclusione, li accoglie come amici e amiche. Poco a poco la sua accoglienza amichevole li cura dentro. Per la prima volta si sentono accolti da un uomo di Dio. Accanto a Gesù cominciano a intuire che Dio è un amico che li cerca per offrire loro amicizia. Non hanno nulla da temere. Accanto a lui possono bere vino e cantare canzoni. Con la sua accoglienza affettuosa, Gesù non sta giustificando il peccato, la corruzione o la prostituzione. Sta rompendo il cerchio diabolico della discriminazione e aprendo uno spazio nuovo e accogliente per il loro incontro con Dio. Gesù termina il suo intervento spiegando solennemente la sua missione: «Io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori». Gesù provoca, con il suo modo di fare, una vera «sovversione»: quelli che si credono in diritto di appartenere al popolo santo di Dio e non sentono il bisogno di un cambiamento, perché osservano fedelmente la Legge, sono esclusi; coloro che, per la loro condizione di peccatori, non possono fare altro se non riconoscere la loro esclusione, sono chiamati e accolti.

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