19_Il baco da seta e la farfalla

 

Il mio cuore una tempesta, nubi infuriano nel profondo

Il Principe della pace è venuto facendo breccia nel vento

Il cielo violento ha tenuto il suo respiro

E nella Tua luce ho trovato riposo

 

Squarciando la notte

Cavalcando la tempesta

Fissi nella lotta

I miei occhi hanno trovato i Tuoi

splendente come il sole

grandi passi attraverso la mia paura

il Principe della pace

mi incontrò là

 

Hai ascoltato la mia preghiera

 

Speranza, come il sole, luce che squarcia le tenebre

il Principe della pace venne e irruppe nel mio cuore

la croce violenta, la tomba vuota

e nella Tua luce ho trovato grazia

 

Sei sempre lì

e ascolti la mia preghiera

 

Il tuo amore mi circonda quando i miei pensieri sono in guerra

Quando la notte urla di spavento la tua voce ruggirà

Vieni o morte, vieni ombra. Dio so che la tua luce mi verrà incontro là

 

Quando la paura verrà a bussare, ci sarai Tu di guardia

Quando il giorno porterà i suoi problemi, ci sarai Tu a tener saldo mio cuore

Vieni tempesta o battaglia

Dio so che la tua pace mi verrà incontro là

 

Il mio cuore è saldo

so che Tu sei Dio

 

Oh non temerà alcun male

Perché so che Tu sei qui

E la mia anima riconoscerà sempre che Tu sei Dio

E hai ascoltato la mia preghiera

 

 

Prince of Peace – Hillsong United – of Dirt and Grace 2016

 

«Avrete già udito parlare delle meraviglie che Dio opera nella produzione della seta, invenzione di cui Egli solo poteva essere l'autore. Si tratta di piccoli semi, simili a granellini di pepe che io non ho mai veduto, ma di cui ho sentito parlare: perciò, se cado in qualche inesattezza la colpa non è mia.

Al sopraggiungere dell'estate, quando i gelsi si coprono di foglie, questi semi cominciano a prendere vita. Prima che spuntino quelle foglie di cui si devono nutrire, stanno là come morti; a poco a poco, con quell'alimento si sviluppano, finché, fatti più grandi, salgono sopra alcuni ramoscelli, ed ivi con la loro piccola bocca filano la seta che cavano dal loro interno, fabbricandosi certi bozzoli molto densi, nei quali ognuno di quegli insetti, che sono brutti e grossi, si rinchiude e muore. Ma poco dopo esce dal bozzolo una piccola farfalla bianca, molto graziosa.

Se questo fenomeno non cadesse sotto i nostri occhi, ma ci fosse raccontato come cosa di altri tempi, nessuno lo crederebbe. Infatti, come potremmo credere che un verme o un'ape, - esseri privi di ragione - siano tanto diligenti e industriosi nel lavorare per noi fino a rimetterci la vita come il povero bacolino nel suo lavoro? […]

Quando questo verme si è fatto grande … comincia a lavorare la seta e a fabbricarsi la casa nella quale dovrà morire. Questa casa, come vorrei far intendere, è il nostro Signore Gesù Cristo. Mi pare di aver letto in qualche parte, o di aver udito, che la nostra vita è nascosta in Cristo, ovvero in Dio, che è poi lo stesso, oppure che Cristo è la nostra vita ... (Col 3,3-4). Che il testo sia o non sia cosi, per il mio intento poco importa.

Osservate qui … quello che con l’aiuto di Dio possiamo fare: che Sua Maestà diventi nostra dimora fabbricata da noi stessi … Dicendo che Dio è nostra dimora, e che questa dimora possiamo fabbricarcela da noi stessi per prendervi alloggio, sembra quasi che voglia dire di poter noi aggiungere o togliere a Dio qualche cosa. E lo possiamo benissimo, ma non già aggiungendo o togliendo a Dio, bensì aggiungendo o togliendo a noi, come quei piccoli vermi, perché non avremo ancora ultimato quanto sarà in nostro potere che Egli verrà, e unendo alla sua grandezza la nostra lieve fatica, che è un nulla, le conferirà un valore così eccelso da meritare che Egli si costituisca in nostra stessa ricompensa. Non contento di aver sostenute le spese maggiori, vorrà pure unire le nostre piccole pene alle molto grandi che Egli un giorno ha sofferto per non farne che una cosa sola» (2M 2, 6).

«Mi fermerò a parlarvi di tre cose … La prima è l’amore che dobbiamo portarci vicendevolmente; la seconda il distacco dalle creature; la terza la vera umiltà, la quale, benché posta per ultimo, è prima ed abbraccia le altre» (C 4, 4).

 

Il distacco

il distacco è, a mio avviso, la più importante delle condizioni. Per comprenderlo penso sia giusto spendere qualche parola in più a partire da un fatto, e cioè che la persona è abitata da un desiderio la cui natura non è riconducibile a quella del bisogno.

Nel bisogno è nota l’identità di ciò che è assente (si ha sete di questo e fame di quello), nel desiderio manca ciò che non si sa, e anzi l’unica certezza di fronte alla quale l’esperienza quotidiana con insistenza ci pone è quella relativa al rilancio stesso che il desiderio riceve da parte di tutto ciò che in un primo memento si  desidera, e ogni qualvolta crede o sogna di aver individuato l’oggetto del proprio desiderio, ecco che quest’ultimo, l’oggetto, con rigore fallisce, puntualmente non mantiene le promesse e il desiderio si acuisce. La mancanza che abita il desiderio non ha nulla a che fare né con l’assenza che contraddistingue il bisogno né con il nulla pensato dalla ragione. È sempre mancanza di «niente di nominabile» (Lacan).

«[…] si parla troppo alla leggera di desideri soddisfatti o di bisogni sessuali o, ancora, di bisogni morali e religiosi. Perfino l’amore è allora considerato alla stregua della soddisfazione di una fame sublime. Un linguaggio di questo tipo è possibile solo perché la maggior parte dei nostri desideri, compreso l’amore, non è pura […] Nel bisogno … posso soddisfarmi di assimilare l’altro. Nel Desiderio non si dà presa sull’essere, non si dà sazietà, ma un futuro senza punti fermi davanti a me […] Il desiderio non coincide con un bisogno insoddisfatto, esso si situa al di là della soddisfazione e della insoddisfazione» .

«Il desiderio, funzione centrale di ogni esperienza umana, è desiderio di niente di nominabile. E questo desiderio è nel medesimo tempo fonte di ogni specie di animazione. Se l’essere non fosse che ciò che è, non ci sarebbe neppure posto per parlarne. L’essere arriva ad esistere in funzione proprio di questa mancanza. È in funzione di questa mancanza, nell’esperienza di desiderio, che l’essere giunge a un senso di sé in rapporto all’essere […] È il desiderio che compie la strutturazione primitiva del mondo umano […]» .

Si deve quindi affermare che desideriamo sempre ciò di cui non abbiamo bisogno, così come si deve riconoscere che è proprio la nostra struttura umana a sollecitarci oltre la ferrea legge dei bisogni e della loro agognata soddisfazione.

La radice che accomuna tutte le diverse versioni del desiderio è questa: « “io” mi sento spossessato dal governo sicuro di me stesso […] L’esperienza del desiderio è infatti un’esperienza di perdita di padronanza, di vertigine, di qualcosa che si dà a me stesso come più forte della mia volontà […] [c’è una ] esorbitanza rispetto all’ Io. Lo possiamo affermare in modo radicale: non sono mai “io” che decido il “mio” desiderio, ma è il desiderio che decide me, che mi ustiona, mi sconvolge, mi rapisce, mi entusiasma, mi inquieta, mi anima, mi strazia, mi potenzia, mi porta via. L’esperienza del desiderio è l’esperienza di una forza in eccesso, di una forza che proviene da me ma che trascende l’Io che “io” (mi) credo di essere» .

All’interno del mondo del bisogno, abbiamo detto, ci si trova ad essere abitati dall’ al-di-là-del-mondo: «[…] la nostra esperienza umana ci indica o ci fa intuire che c’è una vita del desiderio sconosciuta alla vita dei bisogni immediati, ignorata anche dai più raffinati dei nostri sensi. Abbiamo una vita altra […] Un Dio che chiudesse questa apertura, che colmasse la nostra mancanza, non creerebbe alcun movimento, sarebbe un satana» .

Per questo Gesù «ci spinge a cercare ciò che ci manca», ad aprirci in modo così radicale e aprente da spingerci al di là del nostro proprio godimento, al di là della stessa vitalità della vita (il desiderio non è vitalistico: l’uomo non si risolve nel vivente). È bene che la mancanza, questo sorprendente far-spazio interiore, questa parola che non si stanca di ripetere «c’è altro, c’è dell’altro», resti sempre tale, confermandoci così felicemente nel nostro essere un «non-tutto» aperto all’altro, aperto al di là del mondo e di ogni sua stella. Guai a fermarsi allora:

«Se ti fissi su qualcosa,

tralasci di slanciarti verso il tutto,

Se vuoi giungere per davvero al tutto,

devi rinnegarti totalmente in tutto.

E qualora giungessi ad avere il tutto,

devi possederlo senza voler nulla.

Se vuol possedere qualcosa nel tutto

non hai il tuo unico tesoro in Dio.

 

In questa nudità, la persona spirituale trova pace e riposo, Non aspirando a nulla, nulla l'appesantisce nell'ascesa verso l'alto, nulla la sospinge verso il basso, perché è al centro della sua umiltà. Quando, invece, brama qualcosa, proprio per questo si affatica» (1S 13, 11).

Di certo «la mancanza non è vacuità, al contrario è ciò che ci costruisce. La separazione non è un vuoto, ma è ciò che muove il nostro sapere, la nostra conoscenza, e li trasforma dall’interno. È in questo momento che si ha accesso al sapere amoroso, o al sapere tout court. La vera conoscenza è ciò che non smette di venir modificata da una mancanza indimenticabile» .

Ma attenzione: qui non si parla «della semplice privazione dei beni che di per sé non spoglia l'anima se questa continua a desiderarli ma … della rinuncia al piacere e al desiderio di essi, che sola ne rende l'anima libera e vuota, anche quando li possedesse realmente» (1S 3, 4). Può esservi possesso reale, per «quelli che comprano» ma «come se non possedessero» (1Cor 7, 30). Infatti così nell’anima «non vi penetrano dentro - ma solo l'attaccamento a tali beni e il desiderio che essa ha nei loro confronti» (Ibid.). insomma bisogna lasciare andare, quando vogliono, quando non possiamo fare a meno che ci vengano tolte le cose, gli affetti. Non dobbiamo essere noi a decidere di privarcene, sarebbe ancora un oggettivarli, uno stare ancora nella dinamica del bisogno, non del desiderio. 

Quando si trovi di fronte a una scelta obbligata si tratta allora per un’anima «di tendere sempre:

non al più facile, ma al più difficile;

non al più saporito, ma al più insipido;

non al più piacevole, ma al più disgustoso;

non al riposo, ma alla fatica;

non al conforto, ma allo sconforto;

non al più, ma al meno;

non al più alto e pregevole, ma al più vile e spregevole;

non a voler qualcosa, ma a non voler nulla;

non alla ricerca del meglio nelle cose terrene,

ma al peggio, e desiderare in tutto nudità, vuoto e povertà

di quanto v'è al mondo per amore di Cristo» (1S 13, 6).

 

Scrive Teresa: «Egli è la fonte di ogni bene, e noi dobbiamo ringraziarlo senza fine […] più che con l'allontanamento corporale, il distacco si ottiene unendosi generosamente a Gesù, nostro Bene e Signore: l'anima, trovando in Lui ogni cosa, dimentica tutto il resto. … Ma … non abbandonatevi al sonno! Sareste come colui che si corica tranquillamente perché, avendo paura dei ladri, ha sbarrato le porte di casa, senza pensare che i ladri sono chiusi dentro. Ora, come sapete, finché siamo dentro noi, non vi è ladro peggiore. Se non ci sorvegliamo accuratamente, se ognuna di noi non considera la propria abnegazione come l'affare più importante, una moltitudine di ostacoli ci impedirà quella libertà di spirito che sola ci permette di volare al Creatore, non più carichi di terra e di piombo. Rimedio a tanto male è aver sempre innanzi che tutto è vanità e che presto tutto ha da finire. Con ciò le nostre affezioni, togliendosi a queste cose così fragili, si porteranno alle eterne. Benché questo mezzo non sembri molto efficace, tuttavia è per l'anima di grandissimo vantaggio, purché si badi attentamente di non attaccarsi ad alcuna cosa per piccola che sia: appena ci si accorge di un attacco, allontanarne subito il pensiero per elevarlo a Dio, ed Egli ci aiuterà» (C 8, 1; 9, 5; 10, 1-2).

«Si è già fatto il più con entrare in questa casa – che «come vorrei far intendere, è il nostro Signore Gesù Cristo» (2M 2, 6) –, e grande è stata la grazia di Dio». Abbiamo scelto di essere cristiani. «Ora ci rimane da staccarci da noi … e … lottare contro la nostra natura»: cosa assai dura per esser noi troppo unite e troppo amanti di noi stesse» (Ibid.).

 

L’umiltà

Il distacco più grande si ha nella lotta contro la «nostra natura», la natura di cui ci siamo impossessati con la violenza, intendendola a nostro modo, non quella creata da Dio. Rifiutare di farla “nostra” risulta decisivo perché ci pone nella verità in umili condizioni. Egli, infatti, «è somma Verità, e … l’umiltà è verità. È verità indiscutibile che da parte nostra non abbiamo nulla di buono, ma solo miseria e niente. Chi più lo intende, più si fa accetto alla suprema Verità, perché in essa cammina» (6M 10, 8).

«Non abbandonatevi al sonno! Sareste come colui che si corica tranquillamente perché, avendo paura dei ladri, ha sbarrato le porte di casa, senza pensare che i ladri sono chiusi dentro. Ora, come sapete, finché siamo dentro noi, non vi è ladro peggiore. Se non ci sorvegliamo accuratamente, se ognuno di noi non considera la propria abnegazione come l’affare più importante, una moltitudine di ostacoli ci impedirà quella libertà di spirito che sola ci permette di volare al Creatore, non più carichi di terra e di piombo. […] L’umile … considera i prodigiosi abbassamenti di un Dio per darci esempio di umiltà» (V 10, 1; 12, 6).

«Sua Maestà vuole ed ama le anime coraggiose, umili e diffidenti di sé. Nessuna di queste io ho visto rimanere indietro nel cammino della perfezione, come nessuna ho visto delle pusillanimi che si nascondono sotto il velo dell’umiltà, fare in molti anni il profitto che si ottiene in pochissimi su questa via con animarsi a cose grandi» (V 13, 2).

«Fissate i vostri sguardi sul crocifisso, e vi diverrà facile ogni cosa. Se il Signore ci ha dimostrato il suo amore con opere così grandi e con così orribili tormenti, perché volerlo contentare soltanto di parole? Sapete voi che cosa vuol dire esser veramente spirituali? Vuol dire essere gli schiavi di Dio, tali che, segnati con il suo ferro, quello della croce, Egli li possa vendere come schiavi di tutto il mondo, com’è stato per Lui. E non ci farebbe alcun aggravio, bensì una grazia non piccola, avendogli noi sacrificato la nostra libertà. Chi non prende questa determinazione non farà mai gran profitto, ne stia sicuro, perché, come ho detto, l’umiltà è il fondamento dell’edificio, e non mai il Signore lo eleverà di molto, se detta virtù non sarà veramente ben salda. E ciò nel vostro stesso interesse, per evitare che tutto cada per terra» (7M 4, 8).

 

L’amore sincero

[…] «troppo amanti di noi» come siamo l’amore «sincero che ci dobbiamo portare scambievolmente … è assai importante, perché non vi è nulla di così difficile che non si sopporti facilmente quando ci si ama […]; lo si vede chiaramente perché la volontà, nonché lasciarsi dominare dalla passione, cerca ogni mezzo per vincere ogni passione. […]

Quando Dio concede a un’anima di conoscere … per propria personale esperienza, quando quest’anima vede e tocca con mano ciò che è il Creatore e ciò che è la creatura, quello che si guadagna al servizio dell’uno e quello che si perde al servizio dell’altra … ama in un modo assai più perfetto che se non fosse giunta a questo stato». …

«Queste persone … non si curano di essere amate … Tutto considerato penso alle volte che bramare di essere amati sia una grande cecità … Infatti, quando si cerca di essere amati, è sempre per qualche interesse o per qualche soddisfazione personale. … Ma appena avuto il ricambio, vediamo da noi stessi non essere altro che paglia, aria, atomo impercettibile che il vento si porta via. … Vi sembrerà che queste anime non amino e non sappiano amare che Dio. Ma esse amano anche il prossimo, e di un amore più grande, più vero, più utile e più ardente, perché sincero. Sono più portate a dare che a ricevere, e fanno così anche con Dio. … amano ciò che vedono e si affezionano a ciò che sentono, ma non vedono se non cose stabili. Nel loro amore, invece di arrestarsi al corpo, portano gli occhi sull’anima, e cercano se vi è in essa qualche cosa degna del loro affetto. Se non ne trovano, ma vi scoprono un qualche principio di virtù o una qualche buona disposizione che permetta loro di supporre che scavando in quella miniera abbiano a scoprirvi dell’oro, non contando per nulla le pene e le difficoltà che v’incontrano, fanno del loro meglio per il bene di quell’anima, perché volendo continuare ad amarla, sanno benissimo che non lo possono fare se ella non abbia in sé beni celesti e grande amore di Dio» (C 4, 5.7; 6, 3.5-7).

 

 

footprints of Jesus

Carmelitani Scalzi,
Via A. Canova 4.
20145 Milano
MI
379 174 4166 duruelo63@gmail.com
Powered by Webnode