25_Si sente di godere un bene che ha in sé ogni bene, ma senza comprenderlo (V 18, 21).

 

«In tutti i momenti e i modi di fare orazione che ho descritto, il giardiniere fa sempre una qualche fatica, anche se in queste ultime fasi la fatica è accompagnata da tanta gloria e consolazione dell’anima, che essa non vorrebbe mai uscirne, e così non si sperimenta la fatica, ma la gloria. Qui non si sperimenta nulla, se non un godere senza capire ciò che si gode. Si capisce che si gode di un bene nel quale sono racchiusi insieme tutti i beni, ma non si comprende questo bene. Tutti i sensi sono occupati in questo godimento, in modo tale che nessuno resti disoccupato così da potersi impiegare in altre cose, sia esteriormente, sia interiormente» (V 18, 1).

 

a. Un tipo di orazione contemplativa... l’unione con Dio

Cos’è?

«Cosa sia l’unione è già chiaro: due cose separate che diventano una» (V 18, 3).

Grazie ed effetti in questa orazione di unione.

«Ciò che accade in questa stessa esperienza di unione è il sopraggiungere di questo innalzamento dello spirito o ricongiungimento con l’amore divino (a quanto ne capisco è differente l’unione dall’innalzamento)» (V 18, 7).

«Chi non avrà provato quest’ultimo penserà che non è così; e a mio parere, benché siano un po' la stessa cosa, il Signore opera in maniera differente»

«…quanto al crescere del distacco dalle creature, opera molto di più nel volo dello spirito. Ho visto chiaramente che si tratta di una grazia particolare, anche se, come dico, si tratti di un’unica cosa, o almeno così sembra…»

«…un fuoco piccolo è fuoco allo stesso modo di uno grande, eppure si vede la differenza fra l’uno e l’altro; in un fuoco piccolo, prima che un piccolo pezzo di ferro si arroventi, ci vuole molto tempo; invece, se il fuoco è grande, anche quando sia più grande il pezzo di ferro, questo in pochissimo tempo perde la sua parvenza di ferro. Così mi sembra accada in queste due diverse grazie che il Signore ci fa[1] e so che chi sarà arrivato fino ai rapimenti lo capirà bene» (V 18, 7).

«La verità è che, agli inizi, quasi sempre accade dopo una lunga orazione mentale: passo dopo passo il Signore prende questo uccellino e lo porta nel nido affinché si riposi. Avendolo visto volare per un buon tempo, mentre cercava con l’intelletto e la volontà e con tutte le sue forze di trovare Dio e farlo contento, vuole dargli il premio perfino in questa vita. E che gran premio, che basta un momento per essere ripagati di tutte le fatiche che in una vita ci possono essere!» (V 18, 9).

 

 

Effetti nella persona.

“Mentre l’anima è lì che cerca Dio, si sente, con un piacere grandissimo e dolce, quasi venir tutta meno, come uno svenimento, in cui le vengono a mancare il fiato e tutte le forze del corpo, in modo tale che non può nemmeno muovere le mani se non con molta pena; gli occhi le si chiudono anche se non vuole, o se li tiene aperti non vede quasi nulla: e, se legge, non ce la fa a pronunciare parola e quasi non riesce a distinguerla; vede che c’è una parola, ma poiché l’intelletto non aiuta, non sa leggerla; per quanto voglia sente ma non capisce ciò che sente. Così i sensi non le servono più a niente, ma solo a non lasciarsi andare fino in fondo come vorrebbe; e così anzi le recano danno. Parlare è superfluo, perché non riesce a formulare parola, né ha forza, qualora ci riuscisse, per poterla pronunciare; perché tutta la forza fisica si disperde e si concentra tutta nell’anima per poter meglio godere della sua gloria. Il piacere fisico che si sente è grande e assai noto» (V 18, 10).

 

 

Effetti interiori.

«Solo potrò dire che ci si vede uniti a Dio, e che resta una tale certezza che in nessun modo si può non crederci».

«Qui tutte le facoltà vengono a mancare e sono sospese in modo tale che, in nessun modo, come ho detto, si intende che sono all’opera».

«La volontà è tutta occupata in amare, ma non intende come. L’intelletto, se intende, non si intende come intenda; per lo meno non può afferrare nulla di ciò che intende» (V 18, 14).

«Da questa orazione e unione l’anima esce con grandissima tenerezza, al punto che vorrebbe consumarsi, non di dolore, ma di lacrime gioiose. Se ne ritrova bagnata senza accorgersene e senza sapere quando e perché abbia pianto» (V 19, 1).

«L’anima si ritrova coraggiosa; se in quel momento la facessero a pezzi per Dio, ne sarebbe consolata. Questo è il momento delle promesse e delle decisioni eroiche, della vitalità dei desideri, di cominciare a detestare il mondo, di vederne chiaramente la vanità.

Ciò avviene in modo molto più vantaggioso ed elevato rispetto ai gradi di orazione precedenti. E l’umiltà è assai cresciuta perché vede bene che non ha dovuto impegnarsi per quella grazia eccessiva e grandiosa, e non ha fatto niente per ottenerla e per conservarla. Vede chiaramente di esserne assai indegna, perché in una stanza dove entra molto sole non c’è ragnatela che resti nascosta: vede la sua miseria. La vanagloria va tanto lontano che le sembra impossibile poterla avere, perché ormai ha sotto gli occhi il poco o il niente di cui è capace; infatti, a quel punto a stento ha potuto dare il suo consenso, come se, malgrado ella non volesse, qualcun altro abbia chiuso la porta a tutti i suoi sensi, affinché potesse godere maggiormente del Signore. Resta sola con Lui, cosa deve fare se non amarlo? Non vede e non sente, se non con molto sforzo; poco è il suo merito. In seguito le appare tutta la sua vita passata e la grande misericordia di Dio, con grande verità e senza che l’intelletto abbia bisogno di andare a caccia di cibo, perché lì vede già pronto ciò che deve mangiare e comprendere. Di sé stessa vede che merita l'inferno e che è castigata con la gloria. Si consuma lodando Dio, e anche io vorrei consumarmi ora. Benedetto siate, Signore mio, che questo fate con una melma tanto putrida quale sono io: mí trasformate in acqua limpidissima per la vostra mensa! Siate lodato, o dolce consolazione degli angeli, che in questo modo volete innalzare un verme tanto vile!!» (V 19, 2).

 

Raccomandazioni

«Questo è l’inganno con cui il demonio ci prende: quando un’anima si vede tanto vicina a Dio, e riconosce la differenza tra i beni del cielo e quelli della terra, e l’amore che le mostra il Signore, da questo amore nasce la fiducia e la sicurezza di non cadere più, allontanandosi da ciò di cui gode; le sembra di vedere chiaramente il premio, perché ormai non è possibile, riguardo a una cosa che perfino già da questa vita è tanto deliziosa e dolce, abbandonarla per una cosa tanto bassa e sporca come è il diletto terreno; e con questa fiducia il demonio le fa dimenticare anche che deve diffidare di sé; e come dico si espone ai pericoli e comincia, piena di zelo, a regalare frutta senza misura, credendo di non dover ormai temere di se stessa. E questo non accade per superbia (l’anima sa bene che da sola non può fare nulla), ma per una grande fiducia in Dio priva di discernimento, perché non vede che ancora è un uccellino spennacchiato. Può uscire dal nido, e Dio la tira fuori, ma non è ancora pronta a volare; perché le virtù non sono ancora forti, né ha esperienza per riconoscere i pericoli, né riconosce il danno di questo fare affidamento su di sé».

«Si fidi della bontà di Dio, che è più grande di tutte le malefatte che possiamo compiere, ed Egli non si ricorda della nostra ingratitudine quando noi, conoscendo noi stessi, vogliamo tornare alla sua amicizia, e nemmeno delle grazie che ci ha fatto per castigarci; anzi lo spingono a perdonarci più in fretta, come gente di casa sua, che ha mangiato come si suol dire il suo pane[2][2]. Ricordino le sue parole[3][3] e guardino ciò che ha fatto con me: mi sono stancata prima io di offenderlo che Sua Maestà di continuare a perdonarmi. Non si stanca mai di donare né possono esaurirsi le sue misericordie; non stanchiamoci noi di ricevere. Sia benedetto per sempre, amen, e lo lodino tutte le cose create».

 

b. E poi rapimenti, estasi e rivelazioni…

«Qui in questa estasi ci sono le vere rivelazioni e le grandi grazie e visioni, e tutto serve per umiliare e rafforzare l’anima e perché stimi meno le cose di questa vita e conosca più chiaramente le grandezze del premio che il Signore tiene pronto per coloro che lo servono» (V 21, 12).

 

Infine: le difficoltà sono tante, anche se grande è la determinazione a intraprendere il cammino dell’orazione. Lo facciamo sulla base della testimonianza di Teresa la quale ci assicura che le difficoltà sono nostre piuttosto che da parte di Dio. Dio vuole, la persona resiste perché ciò implica lasciare una strada già tracciata da noi per altre tracciate da Dio. È vero: «quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi» (Gv 21, 18). Occorre allora che torniamo a de-siderare.

 



[1] L’esperienza mistica – essendo un profondo rapporto personale con Dio – non comporta necessariamente delle “manifestazioni” a livello sensoriale. Possono però avere luogo e Teresa le considera “grazie di Dio”, connesse generalmente a un’esperienza particolarmente intensa della Sua presenza e utili ad accrescere l’amore teologale; in ogni caso si dice consapevole della loro inessenzialità. Dirà infatti che «la santità non sta in queste cose … ma nella perfetta conformità del nostro volere a quello di Dio» (cfr. F 4, 8; 5, 10).

[2] cfr. Sal 41, 10.

[3] Allusione ai passi biblici che annunciano la volontà di perdono da parte di Dio: Ez 33, 11; Mt 9, 13; Lc 15.

 

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