30_«Quando griderà verso di me, io l’ascolterò, perché io sono pietoso» (Es 22, 26b)

Quien a Dios tiene nada le falta.

Chi ha Dio non manca di nulla[1].

 

 

"Dove sta Dio ivi è il cielo. Sappiate dunque che dove si trova la maestà di Dio ivi è tutta gloria. Ricordate ciò che dice s. Agostino che dopo aver cercato Dio in molti luoghi, lo trovò finalmente in sè stesso. Ora credete che importi poco per un’anima soggetta a distrazioni comprendere questa verità, e conoscere che per parlare con il Padre celeste e godere della sua compagnia non ha bisogno di salire in cielo, né di alzare la voce... per cercarlo non ha bisogno di ali, perché basta che si ritiri in solitudine e lo contempli in sè stessa. Non deve allora spaventarsi per la degnazione di tale ospite, ma gli parli umilmente come a Padre, gli racconti le pene che soffre, gliene chieda il rimedio, si riconosca indegna di essere chiamata sua figlia..." (Teresa d’Avila, Mansioni, IV, 2).

Il cuore dell’uomo è la splendida dimora in cui Dio si compiace di abitare. Il mondo non può contenere Dio, ma il cuore dell’uomo sì, perché è una realtà spirituale. È lì, nel cielo dell’anima, che bisogna cercarlo.

E’ vero quel che diceva Pascal: “Tutti i guai degli uomini derivano da una cosa sola: dal non saper starsene quieti in una stanza”. Siamo disposti a metterci in quel riposo contemplativo che è uno stare di fronte a Dio con la nostra “mancanza”, negli eremi che popolano i nostri deserti interiori, consci del fatto che chi ha Dio non manca di nulla[2]?

Questo è lo stato in cui si trova chi conduce una vita di orazione[3]: non mancare di nulla, avendo Dio. Si può restare uniti a qualcuno senza amarlo

davvero, senza che l’uno abbia l’altro per sé. La persona, invece, «vivendo così unita al Signore», non come quelli che di una tale unione[4] non si curano, come Lui si vede che “trascura il proprio riposo” e “non si cura dell’onore”, «lontana dal desiderare d’essere stimata in qualche cosa!» (7M 4, 15). Perché questo «è il fine dell’orazione … produrre opere ed opere» (7M 4, 6), «non sacrifici»: opere di misericordia[5]. È la sua risposta a Dio che afferma: «Misericordia io voglio e non sacrifici» (Mt 9, 13; 12, 7). Volgendosi all’ “Altro del desiderio” non si farà mancare di nulla a questo scopo.

Introducendo il cammino dell’Orazione dobbiamo parlare allora della mancanza, e del bisogno.

Diciamo subito che la relazione che definisce la vita, che è la vita, ha un nome e una natura: si chiama bisogno e si rivela come appetito: mossi dall’appetito proprio del bisogno, si va verso l’altro da sé per ricondurlo a sé e farlo proprio. I tratti essenziali del bisogno sono: l’assenza (di qualche cosa) e la soddisfazione (derivante dal possesso e dall’assimilazione dell’assente). Bisogna poi riconoscere che il singolo vivente, quando si apre all’altro, non esce mai propriamente da sé, è sempre in-sé anche quando va verso l’altro da sé. All’interno del bisogno il verso-l’altro non è mai un per-l’altro ma un per-sé: ci si apre all’altro ma alla fine ci si ritrova sempre in sé stessi, ci si interessa all’altro perché si è interessati a sé. L’appetito in certa misura condanna dunque alla cecità; il predatore si apre alla preda, si inter-essa a essa, si concentra su di essa, ma sempre e solo secondo la misura di quella predabilità che lo rende «cieco» verso tutto il resto: l’aquila individua la lepre, ma è molto probabile che non abbia alcun interesse per il colore dei suoi occhi e per la margherita che ne sfiora il magnifico manto; rispetto ad essi l’aquila si dimostra de tutto cieca. 

Questo vale per ogni essere vivente. Tuttavia l’essere dell’uomo non si risolve mai del tutto in quello del semplice vivente. L’uomo avverte sì il bisogno di qualcosa ma allo stesso tempo de-sidera altro[6]. Porta in sé questa “strana forza” che nessun impulso e nessuna voglia sembrano essere in grado di leggere e di interpretare.

Fin dall’antichità, per decifrare il cielo stellato, le stelle (sidera) venivano raggruppate in costellazioni e queste servivano a orientarsi ad es. nella navigazione del mare. La particella de, del nostro de-siderare, esprime il venir meno di un certo ordine stabilito e che dava orientamento alla vita. Ordine di cui possiamo aver nostalgia[7] oppure de-costruiamo[8] ponendoci alla ricerca di una nuova costellazione, per nulla distaccati da quest’ultima come con la prima.

In entrambi i casi si ha paura della mancanza che abita il desiderio. Mentre il bisogno è caratterizzato da un vuoto che può essere colmato con il conseguente passaggio da un’assenza a una presenza, il desiderio è caratterizzato da una mancanza incolmabile rispetto alla quale il soggetto non ha alcun sapere. E anzi l’unica certezza di fronte alla quale la sua esperienza quotidiana con insistenza lo pone è quella relativa al rilancio stesso che il desiderio riceve da parte di tutto ciò che in un primo momento si configura come capace di soddisfarlo.

L’uomo vive in realtà sempre e contemporaneamente nel bisogno e nel desiderio, così come vive sempre e contemporaneamente nel mondo e al di là del mondo. In quanto individuo vivente vive sempre in un mondo, ma in quanto soggetto umano abita sempre al di là del mondo. Non basta che soddisfi i propri bisogni, si trova nella mancanza. Il tutto non sono solo bisogni da soddisfare, per cui occorre essere distaccati dai bisogni, pronti a ricevere in dono altro di cui non si conosce il nome. 

«Per poter gustare il tutto,

non cercare il gusto in nulla.[9]

Per poter possedere il tutto,

non voler possedere nulla.

Per poter essere tutto.

non voler essere nulla.

Per poter conoscere il tutto,

non voler sapere nulla.

Per raggiungere ciò che ora non godi,

devi passare per dove non godi.

Per arrivare a ciò che non sai,

devi passare per dove non sai.

Per arrivare al possesso di ciò che non hai,

devi passare per dove non hai.

Per giungere a ciò che non sei,

devi passare per dove non sei» (1S 13, 11).

 

Così «. Procuri l'anima di tendere sempre:

non al più facile, ma al più difficile;

non al più saporito, ma al più insipido;

non al più piacevole, ma al più disgustoso;

non al riposo, ma alla fatica;

non al conforto, ma allo sconforto;

non al più, ma al meno;

non al più alto e pregevole, ma al più vile e spregevole;

non a voler qualcosa, ma a non voler nulla;

non alla ricerca del meglio nelle cose terrene,

ma al peggio, e desiderare in tutto nudità, vuoto e povertà di quanto v'è al mondo  per amore di Cristo» (1S 13, 6)

 

Incontrare Dio sulla strada del bisogno e intenderlo come quella “somma presenza” in grado di colmare ogni assenza, significa intenderlo mondanamente. È la mancanza invece, propria del desiderio ad aprire il soggetto in modo così radicale ed aprente da spingerlo perfino al di là del proprio godimento, al di là della stessa vitalità della vita (l’uomo non si risolve nel vivente), vale a dire al di là del mondo e delle sue stelle.

Altre costellazioni ci attendono, nessuna catastrofe, a condizione che la mancanza non la si traduca/tradisca in assenza, che nessuna costellazione la si intenda mai come quella definitiva, che non si venga meno alla responsabilità di de-siderare nell’orazione, con «determinata determinazione» (C 21, 2). 

 

L’orazione un “rapportarsi in amicizia, stando molte in un rapporto a tu per tu con Colui che sappiamo ci ama” (V 8, 5).

 

Ci vuole determinazione a intraprendere quella determinata amicizia con Dio: ci vuole «una risoluzione ferma e decisa di non mai fermarsi fino a che non si abbia raggiunta quella fonte. Avvenga quel che vuol avvenire, succeda quel che vuol succedere, mormori chi vuol mormorare, si fatichi quanto bisogna faticare: ma a costo di morire a mezza strada, scoraggiati per i molti ostacoli che si presentano, si tenda alla meta, ne vada il mondo intero!» (C 21, 2).

 

Ora: non potremo avanzare rapidamente come vorremmo se non «deponiamo ogni fiducia di noi stessi per riporla tutta nel Signore» (V 8, 12). Occorre lasciarsi trasformare da Dio, per non rimanere schiavi, ancorati ai desideri che la carne si ostina a nominare come fossero bisogni mentre in realtà sono mancanze, «gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa che cosa desidera lo Spirito” (Rm 8,26s). Scrive Giovanni della Croce: «Chi potrà mai liberarsi dai suoi modi di agire e dalla sua bassa condizione, se non sei tu, mio Dio, a sollevarlo fino a te nella purezza del tuo amore? Come potrà elevarsi fino a te l’uomo generato e formato nella bassezza, se non lo sollevi tu, o Signore, con la stessa mano con la quale l’hai creato?» (Orazione dell’anima innamorata).

 

Il figlio cresce ponendo ogni fiducia nella vita che si porta dentro, e che è la stessa del Padre. Quando tu ti poni entro un processo educativo attraverso l’ascesi è come se “chiamassi” Dio, deponendo appunto ogni fiducia in te stesso per riporla tutta nel Signore.

 

 

L’orazione un “rapportarsi in amicizia, stando molte in un rapporto a tu per tu con Colui che sappiamo ci ama (V 8, 5).

 

Ci vuole determinazione a intraprendere quella determinata amicizia con Dio: ci vuole «una risoluzione ferma e decisa di non mai fermarsi fino a che non si abbia raggiunta quella fonte. Avvenga quel che vuol avvenire, succeda quel che vuol succedere, mormori chi vuol mormorare, si fatichi quanto bisogna faticare: ma a costo di morire a mezza strada, scoraggiati per i molti ostacoli che si presentano, si tenda alla meta, ne vada il mondo intero!» (C 21, 2).

 

Ora: non potremo avanzare rapidamente come vorremmo se non «deponiamo ogni fiducia di noi stessi per riporla tutta nel Signore» (V 8, 12). Occorre lasciarsi trasformare da Dio, per non rimanere schiavi, ancorati ai desideri che la carne si ostina a nominare come fossero bisogni mentre in realtà sono mancanze, «gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa che cosa desidera lo Spirito” (Rm 8,26s). Scrive Giovanni della Croce: «Chi potrà mai liberarsi dai suoi modi di agire e dalla sua bassa condizione, se non sei tu, mio Dio, a sollevarlo fino a te nella purezza del tuo amore? Come potrà elevarsi fino a te l’uomo generato e formato nella bassezza, se non lo sollevi tu, o Signore, con la stessa mano con la quale l’hai creato?» (Orazione dell’anima innamorata).

 

Cosa dobbiamo chiedere oggi della purezza del Suo amore? Qual è l’emergenza? Se «vi sarà in mezzo a te qualche tuo fratello che sia bisognoso in una delle tue città nella terra che il Signore, tuo Dio, ti dà, non indurirai il tuo cuore e non chiuderai la mano davanti al tuo fratello bisognoso» (Dt 15, 7). Non siamo solo soci in società ma fratelli, viviamo in comunità. Sappiamo che Dio ha un sogno e cioè che ogni uomo senza alcuna esclusione possa partecipare della Sua stessa, condizione divina attraverso la pratica di un amore simile a quello che ha nei confronti dell’uomo (cf Mt 25, 31-40; Lc 10, 29-37) e che quelle parole esprimono. Il suo realizzarsi è il realizzarsi del sogno stesso di Dio, prova della Resurrezione di Gesù: «Nessuno infatti tra loro era bisognoso» (Atti 4, 34).

Il Risorto tuttavia non si ferma a Gerusalemme, alla cui comunità leggiamo riferite queste parole, ma si mostra fino in fondo ad Antiochia. I fedeli di Gerusalemme e quelli di Antiochia credono nello stesso Signore, ma sono riconosciuti come cristiani solo quelli di Antiochia, gli unici che, oltre a non pensare solo a sé stessi, si preoccupano veramente degli altri[10].  (). Per questo «si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1, 14) e compì il Sacrificio vespertino, sospeso sulla croce. Ci offre questa possibilità: «Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13, 34). Questo ci farà risorgere come Lui. Perciò «Dopo aver purificato le vostre anime con l'obbedienza alla verità – che è la possibilità che Lui stesso ci ha rivelato – per amarvi sinceramente come fratelli, amatevi intensamente, di vero cuore, gli uni gli altri, (1Pt 1, 22).

Si oppone alla presenza del Risorto e alla realizzazione del sogno di Dio lo spirito del mondo. Al punto che «Pio XI prevedeva l’affermarsi di una dittatura economica globale che chiamò «imperialismo internazionale del denaro» (Lett. enc. Quadragesimo anno, 15 maggio 1931, 109). Sto parlando dell’anno 1931! … e fu Paolo VI che denunciò ... la «nuova forma abusiva di dominio economico sul piano sociale, culturale e anche politico» (Lett. ap. Octogesima adveniens, 14 maggio 1971, 44)» (Francesco, Discorsi, 5 novembre 2016).

Dio chiama ciascuno di noi a dare «secondo quanto ha deciso nel suo cuore, non con tristezza né per forza, perché Dio ama chi dona con gioia» (2Cor 9, 7). Ripetiamolo con il Cristo: «Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio» (Gv 10, 17-18). Se si desidera essere amati da Dio, allora la decisione è nostra. Nessun uomo ha il diritto di decidere per noi quanto al nostro dare perché neppure Dio lo fa. Obbedire a questa decisione, che è nostra, è obbedire a Lui. Questo fa sì che continui a portarci il Suo amore, a sostegno del nostro dare. Lui che «pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio» (Fil 2, 6). La condizione divina infatti non è per dominare ma per servire, non innalza sugli altri ma «rialza chiunque è caduto» (Sal 145, 14).

È giunto il tempo dunque che si pongano le condizioni perché ciascuno di noi «decida nel suo cuore cosa dare», disponendosi a ricevere il soccorso di Dio nell’Orazione, secondo gli insegnamenti di Teresa di Gesù, riconoscendo come la ragione più alta della dignità dell’uomo consista «nella sua vocazione alla comunione con Dio. Fin dal suo nascere l’uomo è invitato al dialogo con Dio: non esiste, infatti, se non perché, creato per amore da Dio, da lui sempre per amore è conservato, né vive pienamente secondo verità se non lo riconosce liberamente e non si affida al suo Creatore» (Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 19).



[1] Ecco il testo completo di Teresa di Gesù: «Nada te turbe / Nada te espante, / Todo se pasa, / Dios no se muda; / La paciencia / Todo lo alcanza; Quien a Dios tiene / Nada le falta./ Solo Dios basta». Queste massime furono trovate nel Breviario della Santa, scritte di suo pugno sopra una carta che le serviva da segnacolo. Le apprezzava tanto che le teneva sempre sotto gli occhi avendogliele dettate il suo “piccolo Seneca”, Giovanni della Croce.

 

[2] Ecco il testo completo di Teresa di Gesù: «Nada te turbe / Nada te espante, / Todo se pasa, / Dios no se muda; / La paciencia / Todo lo alcanza; Quien a Dios tiene / Nada le falta./ Solo Dios basta». Queste massime furono trovate nel Breviario della Santa, scritte di suo pugno sopra una carta che le serviva da segnacolo. Le apprezzava tanto che le teneva sempre sotto gli occhi avendogliele dettate il suo “piccolo Seneca”, Giovanni della Croce.

 

[3] «… il messaggio dell’orazione. È questa la luce, resa oggi più viva e penetrante che il titolo di Dottore, conferito a Santa Teresa, riverbera sopra di noi. Il messaggio dell’orazione! Viene a noi, figli della Chiesa, in un’ora segnata da un grande sforzo di riforma e di rinnovamento della preghiera liturgica; viene a noi, tentati dal grande rumore e dal grande impegno del mondo esteriore di cedere all’affanno della vita moderna e di perdere i veri tesori della nostra anima nella conquista dei seducenti tesori della terra. Viene a noi, figli del nostro tempo, mentre si va perdendo non solo il costume del colloquio con Dio, ma il senso del bisogno e del dovere di adorarlo e d’invocarlo. Viene a noi il messaggio della preghiera, canto e musica dello spirito imbevuto della grazia e aperto alla conversazione della fede, della speranza e della carità, mentre l’esplorazione psicanalitica scompone il fragile e complicato strumento che noi siamo, non più per trarne le voci dell’umanità dolorante e redenta, ma ascoltarne il torbido mormorio del suo subcosciente animale e le grida delle sue incomposte passioni e della sua angoscia disperata. Viene il messaggio sublime e semplice dell’orazione della sapiente Teresa, che ci esorta ad intendere “il grande bene che fa Dio ad un’anima, allorché la dispone a praticare con desiderio l’orazione mentale; . . . perché l’orazione mentale, a mio parere, altro non è che una maniera amichevole di trattare, nella quale ci troviamo molte volte a parlare, da solo a solo, con Colui che sappiamo che ci ama” (Vida, 8 , 4-5)» (Paolo VI, Omelia nella proclamazione di Teresa di Gesù Dottore della Chiesa, 27 settembre 1970).

[4] L’Unione non è il fine ma si esprime in questo: obras y obras.

[5] Leggere e meditare: Solo l’Amore crea, le opere di misericordia spiritualli. Un testo di don Fabio Rosini.

[6] Anche nel senso che, pur dando un nome al proprio bisogno, non sa nominare ciò che manca per poterlo soddisfare.

[7] Pensiamo ai nostalgici di cui parla Francesco, che sono poi gli anti-conciliaristi di cui parla Benedetto XVI.

[8] È quel che fanno i progressisti falsi di cui parla Benedetto XVI e che Francesco chiama adolescenti.

[9] Giovanni della Croce, Salita al Monte Carmelo. I nn. 11-12 contengono le celebri «sentenze Todo-nada».

[10] cfr. A. Maggi, La comunione dei beni a Gerusalemme e ad Antiochia, 2005.

 

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